L’avere a disposizione il volumetto “Ricette e salumi Brenesi” a cura di Giacomo Ducoli (Fio) -un grazie a Federico Bellagente, anche per il prossimo libro … – di cui facevo cenno nel precedente post dedicato a Brescia in cucina e nei libri, mi offre la possibilità di chiudere la brevissima disamina dei piatti camuni lì iniziata. Cucina povera dicevamo, lo scorrere la prima edizione del libro di Ducoli (1977), a cura dell’allora Editrice San Marco di Esine, scarna di pagine rispetto a quelle che la seguiranno, ci conferma che gli unici due pesci presenti sono le trote, e il baccalà divenuto, mutatis mutandis, piatto di un certo impegno economico specie se per realizzarlo usiamo la migliore materia prima disponibile sul mercato. Per onore di cronaca, non dimentichiamo che Giacomo Ducoli è stato ristoratore, appare un poco territoriale “Antipasto di cozze”, che pensiamo inserito per offrire un diversivo ai frequentatori locali. Numerose invece le ricette a base di lumache e rane: per queste ultime ricordo lo scoramento quando tempo fa All’Antica Osteria dei Ranari, luogo peraltro notevole in quel di Mantova, mi fu servito una frittata a base di rane … cinesi, ma su queste ormai quasi obbligatorie incongruenze torneremo ancora.
Sono peraltro i piatti più semplici, quasi monacali, che mi riportano ad alcune ricette di famiglia – che da bambino, lo ammetto, non sopportavo … -, ricette che ritrovo grazie al testo “Antiche Ricette Biennesi” di Benia Panteghini, a cura del Comune di Bienno e della Pro Loco Valgrigna, come “Patrìt, Pacòt e Panàda”. Del “patrìt”, minestra essenziale a base di pane grattugiato, acqua o brodo, un pezzetto di burro e un po’ di formaggio, ma la nonna materna (di Leno) usava come base dell’olio profumato da spicchi d’aglio, ricordo la consistenza e l’odore (e le lotte per non mangiarlo …). Appare la minestra d’orzo, “la minestra dè hcandela”, di cui La Cantina di Esine propone una bella versione, anche se il piatto a base d’orzo da loro elaborato e da me preferito è il delizioso “ors al hai ursino” cucinato a modo di risotto. Cito, ancora per dovere di cronaca, la “Papa Pult”: acqua, sale, farina bianca, latte freddo, che, ebbene sì, non suscita in me emozione alcuna.
Ma esistono anche piatti “ricchi”, magari dedicati ad occasioni o periodi particolari come l’Anatra ripiena servita con le verze e la polenta: ad Angone (Darfo Boario Terme) le riservano una Sagra che si tiene ormai da 25 anni negli ultimi giorni del mese di Agosto. O la cottura nella panna del salame, magari di quelli un filo “salati”, che da questo cottura traggono qualche giovamento. Un cenno alla “fritüra” de cavrét (capretto) o porhèl (maiale), frattaglie rosolate che richiedono il giusto momento, stagionale e di cottura, per essere un piatto goloso come pochi (spero che altrettanto pochi lettori arricceranno il naso di fronte a questa mia confessione).
Riscoprire questa cucina, non farla morire significa anche sfruttare tagli ormai poco utilizzati, il poco noto e succulento “quinto quarto”: vedo bambini curiosi, col naso pericolosamente incollato alla vetrina del banco di una macelleria, dire con una smorfia di disgusto”ma quello cos’è mamma, che schifo!!”. Uno dei pochi momenti in cui mi risultano insopportabili sia loro che le loro “moderne” mamme …
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