Non mi spiace punto che una bevanda, un aperitivo per la precisione, anche se col passare degli anni l’ho visto consumare a quasi tutte le ore, sia fortemente identificata con la nostra città: Il termine “pirlo” è squisitamente bresciano, nulla da dire. Se poi, per meglio gustarlo, vogliamo sapere qualcosa di più, magari uscendo dal vezzo della rete che vive in parte di clamorosi “copia e incolla” amplificando così informazioni ma anche errori, proviamo a ricostruirne le possibili radici. La formula più diffusa attualmente, sino ad essere considerata l’unica possibile, prevede vino bianco frizzante, un prosecco nella maggior parte dei casi, che spero veneto giacché nella nostra Franciacorta l’omonimo vino prodotto, peraltro a D.O.C.G., è appunto un Franciacorta e non altro, Campari o Aperol (anche se il secondo viene considerato dai bevitori duri e puri null’altro che una contaminazione), ghiaccio, fettina d’arancia e spruzzo di selz o acqua minerale gasata: il tutto servito in un bicchiere con il gambo, suona eretico l’utilizzo di un tumbler o d’altro recipiente privo di stelo. Benissimo, ma chi ha deciso che questa è la ricetta “originale”? E se questo è l’originale da dove proviene?
Proviamo a risalire la corrente del tempo sino a giungere al classico bicchiere da osteria, a palloncino con lo stelo, un rapido movimento ed eccolo riempito di vino bianco, fermo, e di uno spruzzo d’amaro (la precisione qui latita), a chiusura una scorzetta di limone. Forse possiamo cogliere nel “bianco con l’amaro” una sorta di antenato del nostro Pirlo. Ma avvalendoci della possibilità di correre su e giù per i mulinelli degli anni, basta arrivare al ’70 (inteso come decennio) per scoprire che il vino, pur con l’attuale formulazione dell’insieme, era pressoché sempre fermo, e solo anni dopo diventa “petillant” con qualche pignolo, forse d’importazione, che distingueva il tradizionale Pirlo dalla variante con bollicine definita “nobile”. Proviamo ora a zoomare sul viso di uno dei frequentatori d’antan di osterie e licinsì per scoprire la sua espressione qualora qualcuno avesse versato nel suo bicchiere una bella dose di ghiaccio in cubetti: temo che un ghigno disgustato avrebbe di poco preceduto una violenta manata a spostare il misfatto. Stroncarsi con una bevuta magari sì, ma correre il rischio di una “indigestione” a causa del freddo giammai …
Se poi volessimo ricorre ai due possibili componenti della moderna mistura per stabilirne una datazione ricadremmo nelle nebbie che avvolgono il nostro eroe: il Campari nasce nel 1860, e circa 40 anni dopo vede la luce nel milanese il primo impianto produttivo, l’Aperol è un poco più giovane, la Fratelli Barbieri lo presenta nel 1919. Anche aggiungendo un mezzo secolo come periodo d’introduzione, poco aiuta per donare un anno plausibile alla nascita dell’alcolica mistura, più forte come gradi e come sensazioni amaricanti con l’aggiunta del Campari (25° di alcol), più leggera e morbida grazie all’Aperol (11° di alcol). Variando le percentuali della loro aggiunta al vino base, che spererei di discreta qualità, anche se, personale opinione, un buon Franciacorta mi pare eccessivo per quest’uso, si ottengono risultati variabili, una via di mezzo mi pare la più sensata sia da un punto di vista organolettico, no al Pirlo “slavato”, che per la nostra alcolemia, no al Pirlo fatto col solo scopo di stordirci dopo mezzo bicchiere …
Con il nostro aperitivo in mano ben vengano degli stuzzichini – anche qualcosa di “grasso” per rallentare l’assorbimento d’alcol a livello gastrico – ad accompagnare il momento e la bella sensazione di “stacco” dopo la giornata, ma se teniamo presente il suo ruolo di base non ha molto senso pensarlo – e valutarne la validità – accompagnato da quantità copiose di pizzette, salumi, patatine, olive, formaggi e via discorrendo: ricordiamoci che molto e molto buono possono andare di conserva solo a costi “importanti”. Preferisco di conseguenza avere alcune proposte valide che tante di dubbia qualità … Saranno età e abitudini ma far diventare ad ogni costo l’aperitivo un surrogato della cena non mi entusiasma particolarmente, e se la brescianissima bevanda dimostra una certa elasticità di abbinamento, con una buona fetta di salame o una scaglia di ottimo grana preferisco un bicchiere di vino come natura e mano d’uomo l’hanno fatto …
differenze tra Pirlo e Spritz?
D’istinto ti risponderei il nome, riflettendoci direi la varietà di composizioni. Da noi le attuali varianti sono l’aggiunta al vino, mosso, di Aperol e Campari, come dicevo nel post. Nel Triveneto, patria dello Spritz – qualcuno afferma di origine austriaca e partito dal vezzo di allungare i vini italiani, più alcolici dei loro, con acqua … – oltre alla formula condivisa – prosecco e spruzzo di selz -vengono ancora oggi proposte versioni con l’utilizzo di altre misture amaricanti – Cynar, Select … (da noi poco o nulla diffuso è aperitivo stile Aperol nato, come dice l’etichetta, a Venezia nel 1920 ma ora prodotto in provincia di Bologna) – e l’utilizzo di vini fermi locali.
grande saggio (in tutti i sensi). condivisibile fino in fondo: ho sempre scelto il posto da aperitivo per il pirlo anzichè per il buffet, la mia estrazione paesana mi ha sempre imposto di mettere le gambe sotto al tavolo per la cena, altro che apericena 😉 tuttavia rendiamo giustizia alla formula originale che in realtà non prevedeva l’enorme beverone ma un aperitivo da gustare in quei curiosi flute da osteria ed anche al fatto che prima si mette il vino, poi il campari (insultate pure il barista che parte dal campari: c’è chi lo fa!!)…
Troppo buono Giovanni (in tutti i sensi …) 😉
Tengo a precisare di aver riproposto un post del Settembre 2010 in occasione del primo PIRLO MOMENT MIB, lo so il nome è da interpretare alla Gillo Dorfles, domenica prossima allo Scultore.
Venerdì sera: Brescia si ferma per un momento irresistibile.. Il Pirlo Moment.. una grande occasione di condivisione e socializzazione.. Ciao
il pirlo..l’unico errore è quello di volerlo trasformare in un “lomg drink” quasi da discoteca..w il “calicì” dell’ osteria..quello che ti consente di fare tutto il giro “de le santele”