E’ il bel post di Franco Ziliani sul suo blog Vino al vino dedicato ai vini della Valtenesi a farmi ripescare dalla memoria l’incontro d’inizio 2009 con Cristina Inganni – Cantrina – e la conseguente voglia di parlarne su questa pagina.
In una fase della viticoltura italiana che vede esplodere la ricerca dei vitigni autoctoni, le sue scelte sembrano andare controcorrente: i grandi risultati li ottiene con Sauvignon, Semillon, Chardonnay, Merlot, Pinot Nero, Riesling … Ma è immediata la sua riflessione “A mio avviso è più facile identificare il “terroir”, l’identità del territorio, nei vitigni internazionali ”, come accade con le persone che da paesi lontani approdano a luoghi che, piano piano, li trasformano, aggiungendo, modificando tratti e modi fino a renderli qualcosa di unico, ibridi carichi di un fascino singolare. E la considerazione non si scontra con la tipicità, anzi “i vitigni autoctoni sono un patrimonio, un patrimonio da tutelare” ma è dal confronto, dalla pluralità delle scelte che possiamo arricchire il mondo del vino. Bello procedere non seguendo pedissequamente il mercato, ora tutti parlano di “vini veri”, di vitigni autoctoni e come sempre accanto a chi ha davvero fatto di queste parole un credo, molti cavalcano l’onda, seguono ciò che può facilmente, e pericolosamente, trasformarsi in moda: “Il mercato è ciclico, io faccio quello che mi piace fare credendo nel mio operato e ricercando spasmodicamente un’identità aziendale, a costo di essere penalizzata dal mercato stesso” Ma cos’è per Cristina Inganni, “l’identità”? Accanto al rispetto per il territorio, per la materia prima, che dobbiamo bene conoscere, è “l’espressione di me stessa, della componente umana, di qualcosa che nasce prima nella testa; trasferendo i miei valori, le mie caratteristiche, ottengo qualcosa di unico e irripetibile”. L’opposto di quei prodotti frutto del processo di McDonaldizzazione che crea modelli riproducibili esattamente in qualsiasi luogo della nostra terra. La creazione di un’identità presuppone una ricerca ininterrotta, senza fine, tesa a ricercare un “nostro ideale”, carica di tensione positiva: un “libero esercizio di stile, libero perché mi piace essere libera, esercizio perché io chiamo esercitazioni i miei vini, stile perché ognuno di noi possiede il proprio”.
I vini di Cristina sono realizzati per durare nel tempo, per evolvere e caricarsi di sensazioni. Un dramma per i bevitori e gli “spacciatori” dell’ultima annata, specie coi bianchi. Purtroppo attesa e pazienza sono spesso parole volgari nel turbinio dei nostri tempi; dimenticando poi che i bianchi godono molte volte di acidità in grado di assicurare evoluzioni non possibili a tanti rossi … Ma l’opinione pubblica creata da alcuni “media” del vino resta in gran parte ancorata a questi stereotipi. Ci collochiamo in un ambito dove prima ancora di vendere, di proporre un vino, ad essere proposto è un preciso e personale concetto dello stesso, offrire, in altre parole, un’identità. Il riné 2007, dalla via dove si trovano i vigneti di Chardonnay: Monti Riné con l’omonimo colle, descritto da Ziliani ne è un chiaro esempio. Da quell’incontro, allora Cristina proponeva l’annata 2006 peraltro ancora integra, altre prove hanno rimarcato la felicità delle sue convinzioni, ne è testimone la prima esperienza dell’azienda con il Groppello a dare sul finire dello scorso anno una felicissima, e da me più volte provata, interpretazione.
Sperando d’incontrarla ancora a breve mi piace chiudere il post con alcune sue parole: “Io amo la diversità, quel qualcosa che ci portiamo dentro, che ci rende irripetibili … questo è il mio approccio col vino, non posso certo staccarmi dalla realtà e per questo mi affido a dei professionisti che mi aiutano e consigliano, ma cerco chi mi sa ascoltare, chi è in grado d’intendere ciò che voglio esprimere, la mia filosofia produttiva. Ho davvero sofferto quando non mi era nemmeno permesso di far provare una mia bottiglia perché fuori dai canoni …”
Parte di questo post deriva da un mio articolo apparso nel numero 3 di Terre – Uomini cultura tipicità, rivista del bresciano vissuta per due anni a cavallo tra il 2008 e il 2010. La fotografia di Cristina Inganni è di Rinaldo Capra
Complimenti per il tuo post e grazie per la segnalazione del mio Carlos! E complimenti a Cristina, una produttrice e una donna veramente in gamba, coraggiosa e forte
cari saluti e al piacere di conoscerti personalmente
Franco
Grazie dei complimenti Franco, quello che mi ha davvero gratificato è questo “incontro” di persone diverse unite da comuni passioni. Spero ci siano altre occasioni per condividerle .
P.S.: ci siamo già conosciuti, anche se abbiamo scambiato poche parole, alla scorsa edizione di Vini di Vignaioli in quel di Fornovo Taro.
Ciao Carlos…che piacere risentire queste tue parole e quelle di Franco su Cantrina e su questa donna un pò bizzarra…tutto questo mi stimola sempre di più nel proseguire il mio percorso un pò personale ma con tanto “credo” nel territorio . Devo anche dire che senza Diego tutto questo sarebbe impossibile , grazie alla sua grande preparazione, passione e conoscenza del mondo vitivinicolo , io, sto realizzando un sogno .
Dietro ad ogni produttore ci sono tante persone che lavorano per lo stesso progetto, senza le cui capacità non si riuscirebbe ad ottenere i risultati sperati…
Grazie di cuore a tutti e buona vendemmia a tutti i colleghi produttori .
Se uno dei risultati di questo post, che ribadisco essere nato sull’onda di quello apparso su Vino al vino, è l’aver contribuito a “proseguire il mio percorso un pò personale ma con tanto “credo” nel territorio” non posso che essere più che soddisfatto. Il tuo commento mi permette poi di esternare quanto il vino, come la ristorazione del resto, sia lavoro d’insieme, fatto da più persone, ciascuna con il proprio compito e le proprie competenze: ti ringrazio per averlo ricordato a tutti noi …