Piccolo non è sempre necessariamente buono come grande non deve essere sempre incondizionatamente necessario
Due accadimenti lontani tra loro per millanta ragioni mi spingono a una riflessione, o a una precisazione se preferite, che credo importante per questo blog: nessuno ha mai detto che piccolo – come dimensioni, capacità economiche, riconoscibilità e quant’altro – sia sempre, quasi per dovere, buono. Semmai abbiamo, ho espresso, una preferenza per quelle realtà che autonomamente fanno fatica a comunicare, a dire della loro esistenza, del loro lavoro, dei loro “prodotti”, siano essi frutto della loro fatica o del loro ingegno, spesso di entrambi. Sono convinto esistano strutture di media dimensione capaci d’interpretare un territorio, una materia prima con serietà e passione, mentre nutro più dubbi nei confronti della grande industria alimentare che spesso ha il profitto come priorità da rispettare.
Il primo dei fatti che mi hanno indotto a scrivere queste righe, e che ha interessato dai tradizionali media nazionali alle bacheche dei social network di molti nostri contatti, è l’intervista rilasciata da Gualtiero Marchesi per il numero di Sette, il supplemento del Corriere, del 18 Novembre, interamente dedicato al cibo. Premetto, ma lo si legge in Chi siamo su questo blog, che sono e resto convinto dell’importanza di questo grande personaggio per la cucina italiana degli ultimi 30 anni, ma le seguenti frasi di Marchesi possono sconcertare specie se decontestualizzate e unite al marchio Nestlè, una delle 4 multinazionali più boicottate al mondo: “In molti casi … meglio affidarsi all’industria alimentare: ravioli in vaschetta e via dicendo”, “l’industria, se vuole ha la tecnologia per farti mangiare in maniera sana. E comunque sempre meglio di quanto si possa mangiare in una trattoria”, “Se un cliente per entrare … dovesse passare dalla cucina, poi si affretterebbe a raggiungere l’uscita”. Vero è che il riferimento alla multinazionale viene fatto unicamente dall’intervistatore ma altrettanto vero che Marchesi generalizza in maniera sin troppo disinvolta dimenticando, penso ad additivi, conservanti, provenienza della materia prima e via discorrendo, che al “se vuole” da lui utilizzato dobbiamo aggiungere un “se non crea interferenze al raggiungimento del profitto desiderato”, uno dei parametri di riferimento principali per molte industrie del settore agroalimentare.
Il secondo, di risonanza molto più locale e, ribadisco, argomento e situazione molto diversi dal precedente, è la presa di posizione di Michele Valotti nei confronti di una scelta operata dalla condotta Slow Food di Brescia in occasione della cena di lunedì 29 Novembre. Evento che viene tenuto presso l’Istituto IPSSAR Andrea Mantegna di Brescia, per la presentazione della guida Osterie d’Italia 2011 e che “vedrà protagonisti, 15 osterie, trattorie, ristoranti del nostro Sussidiario del mangiarbere all’italiana con oltre 25 produttori, pescatori e panettieri – per mettere in forte rilievo la necessità di dare ai consumatori consapevoli … la corretta informazione da parte della ristorazione attraverso l’indicazione chiara della provenienza delle materie prime con nome e cognome del produttore (la tracciabilità) – che trasformeranno in piatti prelibati i prodotti di eccellenza della terra bresciana” come riportato nel sito della condotta stessa. A scatenare l’indignazione di Michele, l’utilizzo da parte di un locale di un prodotto proveniente da quella che è una realtà industriale e comunque non paragonabile alle altre presenti (pescatori, piccoli artigiani …). Non conoscendo i particolari del dialogo tra Valotti e Massimo Amonti, quale esponente bresciano di Slow Food, mi limito a rilevare che il prodotto e la realtà in discussione sono stati sostituiti nel programma della cena, come si può derivare dai testi copiati e incollati prima
L’OSTERIA DELL’ANGELO di Gussago con:
Lasagnette con salsiccia, funghi e zafferano – il Salumificio Franciacorta di Cortefranca fornisce la Salsiccia al Terre di Franciacorta
e dopo lo scambio di opinioni (altri particolari possono essere letti nella pagina fb del gruppo –Trattoria la Madia di Michele Valotti -) :
L’OSTERIA DELL’ANGELO di Gussago con:
Lasagnette con salsiccia, zucchine e zafferano – L’azienda Fattorie dei Colli Storici di Pozzolengo fornisce la salsiccia
Sia chiaro, per carattere, convinzioni e scelte, non amo gl’integralismi e personalmente nulla ho con i protagonisti “in negativo” della vicenda, desidererei semplicemente che ciascuno facesse il proprio “mestiere”, dicendolo in modo aperto e con la massima trasparenza. Esiste un’innegabile tendenza dell’industria o delle realtà di maggiori dimensioni ad occupare ogni spazio possibile e correre dietro a ogni nuova tendenza del mercato per sfruttarne le potenzialità in termini di produzione. Trovo non ci sia alcunché di riprovevole se una grossa realtà sponsorizza una bella iniziativa per ragioni d’immagine – lo diceva prima di me e con altra autorità Naomi Klein in No Logo – solo vorrei non ci fossero commistioni e se parlo di un certo tipo di produzione se ne tenessero alla larga quelli che, semplicemente, sanno benissimo di fare altro, con altro spirito e motivazione. E altrettanto facessero, nei loro confronti, quelle associazioni, confraternite o istituzioni che talvolta, di là dal loro impegno o da altre e positive occasioni, dimostrano di avere a tale rispetto idee poco chiare o non sempre ferme, perché “ Piccolo non è sempre necessariamente buono come grande non deve essere sempre incondizionatamente necessario”
Carlos,
penso che in entrambi i casi il consumatore debba avere un ruolo attivo. Il problema è che i grandi hanno interesse ad avere un consumatore passivo, influenzabile con pubblicità, e marketing accattivante. I piccoli si fanno invece avvicinare volentieri, quando lavorano bene e sono disposti ad uno scambio diretto. Se un piccolo produttore lavora male, lo si capisce alla svelta! Basta fargli le domande giuste.
Il discorso di Marchesi si applica bene a molte trattorie che propongono pranzi di lavoro a prezzi insostenibili (secondo minimi parametri di qualità e tracciabilità) e che attraggono il consumatore che non si pone troppe domande. Lo stesso consumatore a cui, riprendendo un discorso di Michele Valotti, chiedi com’era la carne dello spiedo e ti risponde “era carne”.
Il problema Fabio è che se la casalinga di Treviso dice una banalità o un’inesattezza, con tutto il rispetto e buona pace di Nanni Moretti, non cade il mondo ma se Gualtiero Marchesi generalizzando afferma testualmente che ” … E comunque sempre meglio di quanto si possa mangiare in una trattoria” le cose cambiano. Non ha specificato che la sua affermazione è valida per alcuni casi e non per altri. Obbligo di chi ha un ascolto è prestare attenzione a ciò che dice. Concordo peraltro pienamente sulla necessità di un consumatore dal ruolo attivo, che non aspetti la caduta della manna per prendere una decisione.
Onde evitare di buttare il bambino con l’acqua sporca…
Francesco Amonti ed Ezio Marossi ,persone che stimo, mi hanno assicurato che la “svista” non era stata certo voluta ma causata invece dalla leggerezza di giudizio di alcuni, forse non abbastanza informati sulla realtà in questione.
Capisco che essendo comunque volontari non tutti possano avere le dovute conoscenze.
Il mio ruolo è stato solo quello di sottolineare l’incongruenza della presenza di un simile prodotto con i principi del buono,pulito e giusto.
Voglio sottolineare che sia Francesco che Ezio hanno subito capito che era il caso di rimediare.
E per questo li voglio ringraziare.
Per il discorso generale
L’industria fabbrica a volte dei prodotti che in qualche maniera appagano il palato,infatti la gente li compra, per carità un po’ perchè assuefatta ma un po’ perchè certi prodotti sono indubbiamente gradevoli.
L’industria fabbrica prodotti a volte più salubri , se però non teniamo in conto l’effetto di alcune sostanze chimiche aggiunte, effetti che spesso sono noti con alcuni anni di distanza…
Il proplema è che:
1- l’industria omologa, portando ad un impoverimento e ad una standardizzazione di quello che dovrebbe essere patrimonio di tutti,diversità di specie,di ricette ma anche,spingendosi un po’ più in là la differenza degli alpeggi,la differenza della terra,dell’aria e del sole…il piccolo produttore che lavora bene è invece motore di diversità e ricchezza:HA UNA STORIA DA RACCONTARCI.
2-Il piccolo Crea,nel senso più proprio,trasforma con il suo saper fare la materia,atto sublime ed ogni volta irripetibile non si limita a riprodurre qualcosa di sempre uguale
3- il piccolo fa parte di una comunità, il piccolo pescatore vuole il lago pulito, il malghese tiene in ordine la montagna. Insomma si rende conto che è inserito in un territorio e in una comunità.Senza volerlo si muove in un contesto più ampio.
Di cui tutti ,inevitabilmente , TUTTI facciamo parte.
ahimè,anche Gualtiero Marchesi e il suo risotto foglia di fico(opss…d’oro)
Niente bambini gettati con l’acqua sporca … sul profilo fb di Michele Valotti avevo già risposto che le persone fanno ancora la differenza, specie se si tratta di persone come quelle citate nel commento precedente. Ho peraltro il piacere di conoscere personalmente Ezio Marossi da lungo tempo e quest’ultima vicenda me ne conferma, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, la serietà e passione. Sul resto concordo con Michele, nel mio intervento avevo già parlato di additivi, dai conservanti agli emulsionanti, dai coloranti alle sostanze utilizzate per migliorare consistenza e palatabilità, e lo ringrazio per aver aggiunto alcuni concetti importanti. Concetti che cerco d’introdurre in una piccola rubrica “Giovani di gusto” che tengo sul sito d’informazioni online BresciaDOMANI.net, perché se è vero come sopra riportato che “TUTTI facciamo parte” di questo nostro mondo, i giovani, in un certo senso ne fanno ancora più parte, rappresentandone il futuro. Ma è ancora in gran parte a loro che vengono rivolte tante campagne di comunicazione, organizzati tanti panel di degustazione all’interno dell’industria alimentare, con lo scopo di produrre alimenti “accattivanti” ma tutti desolatamente uguali e “costruiti”. Esistono ormai persone che si trovano in reale dificoltà di fronte a salumi o formaggi che escono da quelle “linee guida” fatte da gusti rassicuranti, morbidi, in qualche modo elementari … Da questo appiattimento come unico modello è nostro dovere uscire e deriva anche da questo la responsabilità di chi ha voce e spazi per farlo.
pienamente d’accordo, ma terrei a sottolineare che non tutti i piccoli produttori sono santi nè buoni puliti e giusti, purtroppo esistono persone furbe che se ne approffittano della mancanza di conoscenza del consumatore camuffandosi da piccoli produttori, puntando sulla presunta genuinità dei loro prodotti e vendendosi come paladini e difensori di tipicità e tradizioni.
Ppurtroppo molta gente ci casca e chi cerca invece di smascherali passa per il gelosone di turno, quello che non è stato in grado di valorizzare i propri talenti e le proprie risorse ma che invece è la vera vittima, schiacciato dalla concorreza sleale e dalla sua forse troppo alta morale ed etica lavorativa.
Partendo da questo assunto in diversi colloqui con Fracesco Amonti, persona che stimo e che ritengo fondamentale per lo sviluppo di slow nel nostro territorio, ho affrontato la questione di come l’associazione che rappresenta non possa e non debba nè scendere a compromessi, nè cadere in sviste che possano comprometterne l’immagine e la serietà.
Da produttore professionale mi aspetto più professionalità sia da slow food che dai ristoratori, ricordiamoci che siamo tutti anelli della stessa catena!
“Piccolo non è sempre necessariamente buono …” così inizia il post Enrico, del resto ne abbiamo parlato più di una volta tra noi, e aggiungo a quanto da te giustamente detto che il danno in questo caso è doppio perché viene da realtà che per le loro dimensioni e il loro modo di porsi vengono identificati dagli acquirenti come “contadini”, “malghesi”, sinonimo di genuinità, di prodotti senza trucco alcuno. Diventa fondamentale, e non mi stancherò mai di dirlo, il rapporto con le persone, il conoscere e guardare negli occhi chi produce un vino, un formaggio. Purtroppo non sempre è possibile, ben vengano quindi i mercati diretti dei produttori, le associazioni come Slow Food che si fanno garanti di chi presentano, questo blog, lasciamelo dire Enrico, che su piccola scala e senza aiuto alcuno cerca d’impegnarsi in quella direzione … Perché siamo davvero tutti partecipi e anelli della stessa catena.
Sottoscrivo tutto.
Nel caso specifico dei salumi iniziamo a leggere l’etichetta, che è trasparente perchè tanto non se la fila nessuno.
Se non usi farine,derivati del latte ecc…direi che sei già a metà del guado.
Se poi fai un paio di domande e capisci che tipo di selezione fanno sui suini capisci il resto.
Per carità non è che tutti possono avere un circuito chiuso , con magari animali di razze autoctone allevate allo stato brado…però..
E’ ovvio che ci può essere anche un piccolo che lavora male ( che il calo peso da fastidio a tutti) anche se molto spesso il grande,proprio perchè grande, ha bisogno di additivi per standardizzare e stabilizzare la catena produttiva non potendo permettersi il “fuori controllo”…non può andare a vista, accendendo il fuoco o bagnando il pavimento a seconda di come gli sembra il salame quel giorno…
Insomma c’è posto per tutti…ma serve chiarezza, ognuno al suo posto !
Un’ associazione come Slow Food ,in occasioni particolari , come mostrare ai futuri cuochi che si può cucinare anche con materie prime di un certo tipo, dovrebbe essere addirittura “esagerata” nella ricerca del prodotto , perchè lo stesso diverrà archetipo nella futura ricerca dell’eccellenza da parte di questi ragazzi.
Esempio:
Hey ragazzi, oltre al tuorlo pastorizzato ci sono anche le uova fresche e magari bio e magari da galline allevate libere nell’erba!!!
Mi piace, e tanto, che su alcuni argomenti ci sia dibattito pacato e costruttivo. Vorrei si allargasse ancora, vorrei sentire le parole di chi magari legge in modo continuo questi post ma non interviene per timidezza, riserbo o quant’altro. Sono convinto avremmo tutti qualcosa da imparare o quanto meno da condividere …
Michele ha perfettamente ragione, ma bisogna che la comunicazione e l’informazione sia fatta in modo corretto perchè, per citare l’esempio del Valotti, anche Giovanni Rana dice che i suoi tortellini sono fatti con uova di galline esclusivamente allevate a terra!
ieri ottima serata, ci terrei a complimentarmi con Michele per la pasta con farina di castagne e ragù di pecora, veramente ottima, la farina di castagne è difficile da usare, ma ieri era squisita abbinata poi col pinot nero del pendio(www.ilpendio.com) era da favola.
Enrico, quella di Rana è una pubblicità ingannevole. E’ vero che le galline Rana sono allevate a terra, ma in capannoni! (fino a 9 galline per M2; sempre meglio che in batteria: fino a 25 galline per M2) Tuttavia l’inganno di Rana è quello di giocare sul fatto che quando il consumatore pensa a galline allevate a terra, pensa a galline che razzolano in campi liberi (allevamento bio all’aperto 1 gallina ogni 4-10 M2 con vegetazione).
A mio avviso, ci sono vari livelli di approfondimento sull’alimentazione
1) Leggere le etichette. Gli ingredienti devono essere pochi, chiari e non contenere aromi (artificiali), coloranti o conservanti strani.
2) Dubitare degli ingredienti sospetti. Cosa c’entra il lattosio, la farina o il destrosio nel salame? Cosa c’entra l’inulina, destrina di mais, gelatina, sale, amido modificato, conservante (sorbato di potassio), addensante (gomma di guar) nel formaggio? (ingredienti del Philadelphia Duo che è un insulto chiamare formaggio)
3) Ci sono ingredienti ed ingredienti. La carne non è solo carne, ma condizionata da molti fattori. Chiedetevi quando comprate della carne: da dove proviene? Come e’ stato allevato l’animale? Di cosa si e’ nutrito? Quanti mesi ha? E’ stato rispettato il benessere dell’animale?
4) Conoscere la provenienza del prodotto. Sentivamo proprio la mancanza della mozzarella bulgara?
5) Consumare prodotti locali e frutta e verdura di stagione.
6) Il prodotto può servire a far sistema (come dice Michele, il piccolo pescatore vuole il lago pulito, il malghese tiene in ordine la montagna)
7) Conoscere la storia del prodotto
8) Abituarci alla riscoperta del gusto. Non è buono solo quello che è standard, dolce e molle!
Il consumatore ha il potere di far cambiare le abitudine dell’industria alimentare. Basterebbe che tutti leggessimo quantomeno le etichette!
Per approfondimenti vi invito a leggere alcuni idee scritte nel gruppo “consumo consapevole: noi siamo quello che mangiamo” su fb
Mi avete suggerito di cosa parlare nel prossimo post per Brescia.DOMANI.net … di etichette …
caro Paolo, ovviamente sapevo che quella di rana fosse una pubblicità ingannevole, è chiaro e logico, molto meno logico è il fatto che non lo capiscano i molti che si fidano.
qualcuno dice che se ben vestita anche una poveraccia può sembrare una regina, io invece sostengo che un asino non potrà mai essere un cavallo, sono d’accordo con te c’è bisogno di leggere attentamente le etichette, c’è bisogno di informarsi