Un pasto ai tempi di Internet

Da un quesito posto sulla mia pagina facebook  è nato, nello spazio di un giorno, un dibattito a mio avviso interessante sulla ristorazione, in particolare su quello che potrei definire il prezzo di “accesso” a una proposta in grado di mediare tra costo e qualità della stessa. Mi pare interessante dare maggior respiro alla discussione sottraendola agli spazi angusti del social network  e all’obbligata concisione che gli stessi comportano. Di seguito la domanda come formulata originariamente e la maggior parte dei commenti ricevuti (ridotti cercando di mantenerne il senso). Naturalmente invito alla partecipazione tutti i frequentatori del blog.

Carlos Mac Adden – Qual’è a vostro avviso il prezzo di un buon pasto medio in un locale (non parlo di bar, piatti pronti o panini) che oggi può definirsi contenuto? Ovviamente senza vini o bevande e composto da almeno due piatti + un dolce. Vorrei capire dove si è posizionato lo spartiacque e cosa può offrire a tale proposito la ristorazione … Ieri alle 10.32

Patrizia Vanelli  – Carlos, io ho pranzato a Genova, …, primo, secondo (abbinati a un bicchiere generoso di vino rosso, ottimo) dolce (abbinato ad un calicino di Malvasia) caffè, … il conto E.22,00/a persona …

LoScultore CivicaTrattoria  – Carlos definisci il concetto di buon pasto

Laura Rangoni –  ‎20-30 euro per uno standard qualitativo medio

Carlos Mac Adden –  ‎@LoScultore, mi rendo conto dell’approssimazione …, fermi restando i contenuti parlo di materie prime buone ma non particolari: ovvio che se parlo di pesce non intendo il branzino di grossa pezzatura pescato all’amo, se di carne non un filetto di chianina … Ossia il traguardo per un pranzo non banale e non preconfezionato che sia alla portata di più persone.

Era inevitabile che si chiedesse maggiore chiarezza, cosa che ho cercato di fare nel corso del dibattito. Definire il concetto di “medio” non è impresa facile, ricordate quello di “comune senso del pudore”? Del resto non è neppure medio quello che volevo esattamente dire, a tale scopo avevo premesso l’aggettivo “buon”, vago anch’esso certo ma già restrittivo. Non m’interessano i pranzi di lavoro a 10/12 euro, quanto un pasto in grado di assicurarci un minimo di gratificazione e magari indicativo delle potenzialità di un locale che poi possono o meno esprimersi in un ambito diverso (il pranzo serale o festivo …).

Leonardo Piccini – Ho mangiato a Roma, in un posto molto conosciuto e il prezzo per un primo e secondo con contorno era sui 25 euro. Ritengo sia un prezzo già abbastanza elevato specie se sei costretto per esigenze professionali a pranzare o cenare fuori casa…comunque 20 euro sarebbe un prezzo accettabile. …

Carlos Mac Adden – L’intervento di Leonardo mi permette di meglio definire la domanda aggiungendo il termine piacere o diletto. Non mi riferisco quindi al solo e semplice “nutrirsi” dignitosamente anche se capisco la più che giusta osservazione del commento precedente.  

Angelo Peretti ‎- 25 euro, senza vino, bastano per poter mangiare una buona, e a volte ottima, cucina di territorio, anche al nord.  

Clara Barra – per la mia esperienza, tra i 25 e i 30 euro…

 Linda Nano – Sono d’accordo sui 25/30 euro, … . Spendere 15 euro per un pasto precotto è immorale ma normale. L’altro problema è quello della professionalità, saper scegliere le materie prime di qualità adeguate alla linea di cucina che si vuole proporre e gestire il conto economico di un locale in modo corretto non è semplice e non è da tutti. Troppi improvvisati e poca professionalità. 

LoScultore CivicaTrattoria ‎ – 25 due portate 30 con un dolce.

Enrico Togni –  in valtellina, su indicazione di un amico produttore abbiamo pranzato con pizzoccheri e sciats (buoni entrambi) bevuto due bottiglie di vino rocce rosse arpepe ’99 (www.arpepe.com) e olè dirupi ’09 (www.dirupi.com) entrambi ottimi, conto 20,00 e dico 20,00 euro procapite! Cucina e vini del territorio al giusto prezzo, che dite ci torno? 

LoScultore CivicaTrattoria – l’utilizzo di materie prime di qualità non permette di scendere sotto questi prezzi

Pablo Zucchi – Carlos, la tua richiesta è un pò vaga. Posta così un prezzo non contenuto ma equo per un menù fisso (due portate+dolce, caffè) dovrebbe assestarsi a 25 Eur. A meno si comincia a far sacrifici sugli ingredienti. La settimana scorsa sono stato… al D’o’ di Cornaredo dove Davide Oldani propone menù “pop” a 32 Eur, utilizzando materie di prima scelta, ma meno facili (sgombri, trippa, cipolle…) e riuscendo a fare alta cucina a prezzi accessibili

Marina Soragni  – Val di Fassa … ristoranti carinissimi a scelta e a volonta’, primo secondo contorno, sempre compreso,birra, dolce, porzioni generose, ottima qualita’ prezzo massimo 20 euro. Cosi’ pure se si bazzicano le trattorie e i ristoranti emiliani …e toscani dove notoriamente si trova ottima cucina a prezzi giusti. Brescia purtroppo per noi e’ cara. Bisognerebbe approfittare dei pranzi di lavoro che in alcuni ristoranti vengono offerti a 10/15 euro e non sono molto diversi dalle cene dei medesimi locali. E poi basta far pagare un contorno 5/6 euro in tutti gli altri stati e’ compreso nella piatto di carne o pesce ed e’ vario e abbondante. Il coperto poi e’ una vergogna, ci sono pizzerie dove ti mettono il tovagliolo di carta e ti fanno pagare 2 euro.

Carlos Mac Adden ‎- @Pablo, mi rendo conto della “vaghezza”, diciamo che il mio più che un rigido quesito vuole essere un sasso nello stagno che viene scagliato come reazione a tanti commenti sentiti: per un numero non indifferente di persone 30 euro, ma talvolta 25, sembrano essere una sorta di muro invalicabile …  quando possono spendere la stessa cifra, e di più, per altri bisogni apparentemente più futili od opinabili … Da parte mia credo che nella fascia dei 25/30 euro si possa collocare una sensata fascia di “qualità”, intesa sia come materie prime, magari non usuali come sottolinea Pablo, che come proposta in generale. Piccola provocazione: cosa diciamo a chi arriccia il naso di fronte a frattaglie e pesce azzurro e si ritiene soddisfatto da branzini monoporzione d’allevamento e polli brasiliani?  

Enrico Togni – che non sanno cosa si perdono. Usare tagli meno nobili, pesci meno “trendy” e secondo l’offerta stagionale, selezionare le materie prime e soprattutto i fornitori   

Carlos Mac Adden – Avete presente quanti bambini guardando i sempre più rari vassoi di frattaglie dai sempre più rari macellai dicono “che schifo!” accanto ad orgogliose mamme che non saprebbero certo come cucinarle … E che altrettanto fanno distinti signori respingendo (ma era scritto …) sdegnosamente un “coniglio arrosto con le sue frattaglie”? Due sere fa a una piccola “cenetta” per la mia piccola e delle sue amichette ho proposto dei filetti di persico gardesani impanati e fritti nel burro, purtroppo una delle mini teenager ha chiesto “ma è branzino? Io mangio solo branzino!”. Vi assicuro che è assolutamente vero …

Pablo Zucchi  – bravo Enrico, selezionare materie prime e i loro produttori, preferibilmente locali e di stagione, offrire e far conoscere prodotti e tagli meno trendy. …

Pablo Zucchi – ‎@Carlos, secondo me non ha senso per un ristorante servire un filetto di Fassona, una fiorentina di Chianina, un branzino o un aragosta. Tutti possono cucinarselo bene a casa e pagarlo di meno. Più complicato in termini di tempo e quantità… pulirsi e cucinarsi una trippa. I ristoranti dovrebbero puntare sul loro valore aggiunto: l’abilità di scegliere cucinare ingredienti non facili e non sempre noti e saperli proporre a prezzi ragionevoli ma con maggiore valore aggiunto.

Riflessione: i buoni prodotti del territorio, non tanto forse la verdura e la frutta a “km 0” ma i “buoni” formaggi, i “buoni” salumi costano, non dico troppo o tanto ma mediamente costano di più di un prodotto similare acquistato alla Metro, che questo costa di più di un prodotto acquistato in un discount … L’osservazione di Linda Nano rileva correttamente che fare i “buoni” ristoratori al giorno d’oggi non è impresa facile, da una parte le sollecitazioni a usare materie prime “corrette”, dall’altro i costi: mediare non è sempre possibile.

Carlos Mac Adden – Pensavo qualcosa del genere già tanti anni fa, quando visitai una rassegna a Milano: c’era una zona VIP a ingresso riservato, dentro materie prime come una pernice disossata, accomodata su un vassoio a misura, pronta per essere cotta … Esiste un’omologazione anche all’alto, non solo al basso, ma insisto che le proposte della grande distribuzione tendono a creare una “falsa democratizzazione”, per cui vediamo … improbabili formaggi di nicchia allettare il consumatore sui banchi del supermercato … che poi vuole, comunque,quei prodotti … L’anno scorso un ristoratore bresciano mi disse “Ho smesso di comprare rognoni per poi doverli buttare …”

Enrico Togni – l’altro giorno a cena da un amico ristoratore si parlava di come ormai tutti facessero la stessa cosa, fiorentina o tagliata, lui mi ha detto che sta maturando l’idea di non farle più e secondo me ha ragione … Credo che oggi la gente sia stanca delle offerte omologate (vd tonno rosso) e cerchi delle alternative a cose che si possano facilmente cucinare a casa, altrimenti se ne sta a casa in buona compagnia.

Carlos Mac Adden – Scusate se insisto, sposo appieno quanto dite ma credo davvero che ci si scontri con una realtà affatto diversa. La “rosa” degli alimenti si sta restringendo non allargando nel quotidiano delle persone: guardate quanta frutta e verdura non …”va” più … I mandarini perché hanno i semi, le verdure dal fondo amarognolo e posso continuare … Il prosciutto che deve essere magro e dolce (un paradosso), la carne che non deve sapere troppo di carne e il formaggio idem … Il quinto quarto resta per il momento un utopia. (Alla quale hanno contribuito disinformazione e mucche pazze …)

Matteo Festa – Io sono ormai convinto che 30€ per una cena completa in un locale di buon livello, sia un prezzo di favore. Poi dipende cosa si beve, il buon bicchiere della casa solitamente è il filtrato che le cantine vendono a 0,3 € al litro. Detto questo oggi per una cena completa a 360° gradi servano 50 €

Giancarlo Raccagni – Interessante discussione piena di spunti … Comunque faccio un paio di considerazioni: se un locale potesse reggersi sulla cucina delle frattaglie (utopico ma paradisiaco) non avrebbe bisogno di speculare sul vino.Dato che ciò non è possibile e il ristoratore è un imprenditore e per arrivare alla fine del mese deve fare i numeri, è costretto ad andare incontro ai gusti della maggior parte dei clienti. Siamo arrivati al paradosso che la gente acquista una tagliata che non sa più neanche di carne ma solo della marinatura nella quale se ne sta affogata (in questo Matteo mi è testimone) ….

Carlos Mac Adden – Il mi piace sul commento di @Giancarlo è significativo, ma necessita di un appunto: vero che il ristoratore/imprenditore deve “andare incontro ai gusti della maggior parte di clienti” ma è altrettanto vero che i gusti – prove del cuoco o cotti e mangiati compresi – si stanno sempre più restringendo e omologando. Cosa sarà della ristorazione se questo processo si estremizzerà?

Raffaele Mor – Buongiorno a tutti … Ho letto con grande curiosità e attenzione i commenti … vorrei attirare la vostra attenzione su un paio di punti. Io,in quanto ristoratore,ho provato più volte a proporre anche tagli meno nobili (rognone di vitello ad esempio)…riscontro da parte dei commensali, meno di zero…Propongo una cucina di materia prima sceltissima come l’amico Federico,e come altri colleghi,ma se devo fare un bilancio ,scusate ma l’amaro in bocca sopraggiunge…Una cucina di “materia prima” richiede anche un costo d’acquisto all’origine non propriamente a buon mercato,anzi…fare ricerca sul prodotto giusto costa…in tutti i termini; di tempo,visite presso i produttori, spesso piccoli artigiani,competenza nella scelta,difficoltà a reperire … e non ultimo appunto il prezzo …Ora, farò una considerazione che nasce dal quotidiano che vivo/viviamo noi …vedo sempre più posti da qualità media,o addirittura bassa….ma bassa..che riempiono i loro ambienti tutti i giorni , pranzo e cena…qualità inesistente,servizio idem…spesso a prezzi che non troppo si discostano dai famosi 25/30 euro…mentre io,come altri bravi colleghi,facciamo a fatica un centesimo dei coperti che fanno questi….A proposito,lavoro sul servizio del pranzo con una proposta che spazia dai 18 ai 25 euro…due piatti +dessert+pane da noi fatto in 6 formati diversi servito caldo e fragrante,acqua,bicchiere di vino (a scelta tra 5 bianchi,5 rossi e 2 bollicine),caffè e servizio….tovagliato e mise en place sobri ma di livello,fiore fresco al tavolo. Ora ,ditemi voi dove sono allora tutti i clienti di qualità … Sperando di non essere stato frainteso,e specificando che la mia non vuole essere sterile polemica fine a se stessa ,mando un saluto a tutti.

24 commenti Aggiungi il tuo

  1. Giancarlo Raccagni ha detto:

    Sarà anche mera provocazione ma domani sera passate da Sirani a Bagnolo Mella a prendere una pizza …. se trovate posto!!

    1. Carlos Mac Adden ha detto:

      Come forse sai Giancarlo, avevo messo un commento su fb, lunedì scorso ero da Simone Padoan – I Tigli di San Bonifacio – con Maurizio Sarioli, compagno di corso sui lieviti madre di Padoan e Massimiliano Alajmo …, Sandro Bregoli e Federico Bellagente più le nostre due gentili signore. Locale pressoché esaurito sui due turni, buone materie prime (tranne, forse, le acciughe che erano solo accettabili), grande maestria, servizio cortese, risultato complessivo più che soddisfacente, costo sui 30 euro a persona compreso due vini “naturali” (Rugoli di Davide Spillare e la Malvasia di Camillo Donati). Ci siamo chiesti se e come funzionerebbe un locale così a Brescia e naturalmente abbiamo pensato a Sirani … Penso in questo caso giochi, quanto non so dirtelo, un fattore di “moda” forse prevalente sul desiderio e la curiosità di confrontarsi con lieviti madri e un concetto “diverso” di pizza …

  2. Alberto Massensini ha detto:

    25€ per un pasto di qualità, è impegnativo ma si può fare. Bisogna però trovare un ristoratore onesto, sapiente e estremamente tenace, razza molto rara. Onesto perchè non pretende che la sua abilità venga pagata a peso d’oro; sapiente perchè conosce e sa proporre piatti diversi dalla solita tagliata; tenace perchè ha voglia di ridurre i propri margini di guadagno a fronte di chi, allo stesso prezzo, offre ignobili piatti riscaldati (e magari ha il locale sempre pieno…eh, l’autoflagellazione del consumatore moderno). Per fortuna la cucina intelligente esiste ed è in espansione, soprattutto quella basata su una specie di “just in time” delle materie prime: poche scorte, prodotti freschissimi del territorio, un menù sempre variabile (in base alla stagione e alla reperibilità dei prodotti) con 2-3 proposte per ogni portata; e magari con un vino della casa che non sappia di metanolo.

    1. Carlos Mac Adden ha detto:

      Per fortuna la cucina intelligente esiste ed è in espansione, soprattutto quella basata su una specie di “just in time” delle materie prime: poche scorte, prodotti freschissimi del territorio, un menù sempre variabile (in base alla stagione e alla reperibilità dei prodotti) con 2-3 proposte per ogni portata …

      Spero, sinceramente, che tu abbia ragione Alberto, io sono un filo più pessimista …

  3. Carlos Mac Adden ha detto:

    in valtellina, su indicazione di un amico produttore abbiamo pranzato con pizzoccheri e sciats (buoni entrambi) bevuto due bottiglie di vino rocce rosse arpepe ’99 (www.arpepe.com) e olè dirupi ’09 (www.dirupi.com) entrambi ottimi, conto 20,00 e dico 20,00 euro procapite!

    Caro Enrico ho cercato in rete i due vini da te citati e i prezzi reperiti mi fanno dire che con quello che avete pagato si riesce, forse, a pagare le bottiglie … quanto ai due piatti citati sono senza dubbio buonissimi ma “poveri”: farina di grano saraceno, acqua, biete o verze, patate, un po’ di formaggio, burro. Senza togliere alcunché alla tua proposta non la trovo del tutto in linea con il concetto di pasto come era stato formulato.

    1. Caro Carlos, i prezzi dei vini,li conosco benissimo, infatti anche noi siamo rimasti stupiti, ma piacevolmente perchè vuol dire che il ristoratore non se nìè approfittato come spesso accade.
      Non credo che i pizzoccheri siano più poveri di un casoncello, di una trippa o di altri piatti della tradizione bresciana, ma come spesso viene scritto su questo blog ci sono biete e biete, saraceno e saraceno, etc.
      mangiare bene, almeno come a me è stato insegnato, vuol dire soprattutto mangiare sano, il cucoco è un interprete non l’interprete principale, ci sono quelli bravi e quelli meno, i primi fanno bene anche i piatti poveri!

      1. Carlos Mac Adden ha detto:

        Enrico volevo semplicemente dire che in quello specifico caso siete stati trattati talmente bene da rendermi difficile pensare sia la norma … Per quanto riguarda il termine “poveri” volevo rimarcare che, anche impegnandosi nella selezione, con quelle materie prime si possono realizzare piatti interessanti a prezzi contenuti naturalmente essendone capaci. Convengo che sia una strada interessante da percorrere se si riesce a coinvolgere il potenziale cliente: rileggendo il commento di Raffaele Mor, ultimo ad apparire nel post e cuoco/titolare dello Scarlatto, ho colto una vena ragionevolmente critica nell’affermazione ” … dove sono allora tutti i clienti di qualità”, dove penso che quel “di qualità” volesse dire quelli che vogliono capire, sono curiosi, aperti, disponibili. In altri termini non sono semplicemente dei fruitori passivi di una proposta. Anni fa scrivendo un articolo sul Miramonti l’Altro rimasi colpito da una frase di Mauro Piscini che suonava all’incirca così: “non esiste un grande ristorante senza grandi clienti”, non penso in tutta onestà che quel grande volesse alludere alle sole capacità delle loro tasche, piuttosto alla voglia di far crescere un luogo, di sostenerlo, di condividerne la filosofia. Suppongo che Raffaele si stia scontrando con il numero non enorme di persone che vogliono andare di là dal semplice nutrirsi, magari nel luogo carino e con il personale sorridente e “glam”. Pensa a un luogo come le Maschere di Vittorio Fusari, da me frequentato sino alla sua chiusura, era stata fatta la scelta di concentrare tutto nel piatto, nelle proposte della cucina, reinventando pesci come la tinca, servendo rognone, verdure al vapore con fleur de sal come secondo, pasta e fagioli in una prospettiva ribaltata: non ebbe vita facile e neppure lunga, mancava un parcheggio adiacente, il posto era essenziale, quasi asettico. In sala Roberto Gozzini, pur bravissimo nel proporre la nostra Franciacorta o produttori grandi e sconosciuti della Champagne era parco di parole, quasi intimidito dal cliente …

        1. carlos, ho letto con piacere l’interessante intervento di Raffaele e in parte concordo con lui, ti faccio una proposta, mensilmente (o anche più frequentemente) si organizza il “made in brescia on the table”, si sceglie un locale che propone i piatti che solitamente fa durante la giornata, quelli del pranzo per intenderci, al prezzo del pranzo magari con la presenza di alcuni suoi fornitori, tutto per fare cultura.
          ps: oggi sul bresciaoggi c’è un articolo in cui si dice che in libreria spopola la Parodi!

        2. Carlos Mac Adden ha detto:

          La proposta è interessante, in particolare nella parte che vuole coinvolgere i fornitori di materie prime, non so quanto possa essere realizzabile ma vale la pena parlarne. Attendiamo risposte Enrico.

  4. Matteo Festa ha detto:

    Io da Sirani ci son stato, un paio di mesi fa, e per due pizze ed una birra più frittino di pesce (molto misero) ho speso la bellezza di 101,50€ ( con 30€ in più mangio al castello da fratelli Papa a dello bevendo un valpolicella sup. di Quintarelli….)

    Ho preso la pizza al patanegra, e mi son chiesto che senso ha rovinare del eccellente prosciutto riscaldandolo sulla pizza! Io so rimasto indignato. I frequentatori assidui dicono che la morte del patanegra è la pizza di Sirani.

    1. Carlos Mac Adden ha detto:

      I frequentatori assidui dicono che la morte del patanegra è la pizza di Sirani.

      Mah … che dire … Ai Tigli esiste una “modesta” pizza con Burrata e Crudo San Daniele 18 mesi, il crudo e la burrata su cui è disteso sono aggiunti a fine cottura e il salume non si scalda affatto. L’affermazione che tu riporti è in linea con i miei sospetti di “moda”, uno spagnolo griderebbe al sacrilegio, io mi limito a ri-evocare quanto detto … Fermo restando che Sirani resta per me un grande pasticcere e un attento conoscitore delle materie prime.

  5. Pablo Zucchi ha detto:

    @Matteo. Il mio ristorante ideale è la Madia di Brione, dove si possono fare ottimi menù di campagna o di montagna a 26 Eur tutto compreso (antipasti, primo, secondo con contorni, dolce, caffè e acqua, solo il vino è giustamente escluso) e menù degustazione per 32 Eur (come prima, ma con assaggio di tutti gli antipasti, 2 primi e 2 secondi a scelta).
    La Madia è stata messa al primo posto delle mie “100 cose da fare a Brescia almeno una volta nella vita”
    http://www.facebook.com/group.php?gid=54370572056

    Posso garantire personalmente sulla qualità dei cibi, avendo testimoniato di persona il rapporto che il cuoco Michele Valotti ha direttamente con i suoi produttori che sceglie, promuove e la passione che mette nella cucina e nella sua visione che ognuno può contribuire a fare sistema (glocalizzazione). E se gli altri non lo fanno, chi se ne fotte, si va avanti per la propria strada convinti della bontà delle proprie idee. Senza compromessi!

    Ritengo che i ristoratori devono capire quanto il consumatore è disposto a spendere e fare un’offerta mirata in tal senso. Menù degustazione con prezzi contenuti e senza sorprese o alla carta per chi vuol provare qualcosa di diverso e disposto a spendere di più.

    Il consumatore attento poi seleziona come spendere al meglio i propri 25/30 Eur.

    Per una cena “normale” comunque si può spendere dai 30/40 Eur, per le “occasioni” dai 40/100 Eur. Oltre richiederebbe un livello di comprensione dei vini e dei cibi che non mi appartiene.

  6. Michele Valotti ha detto:

    Si può mangiare bene a qualsiasi prezzo e mangiar male a qualsiasi prezzo.
    Puoi mangiare dell’ottimo street food a 5 euro, easy fin che vuoi ma a volte …che sorprese !!
    Puoi mangiare in uno stellato una materia prima appena sufficente a 100 euro , poi , presentata bene fin che vuoi, bello il tavolo, bravo il cameriere , però.
    Puoi mangiare in una semplicissima trattoria una zuppa di legumi favolosa e un bicchiere di rosso decoroso, giovane, semplice, magari di un viticoltore della zona e spendere in tutto 10 euro.
    C’è di tutto, quello che non c’è è la nostra capacità di riconoscere la materia prima .
    e qui apriti cielo…tutti maestri, tutti nati “imparati”.
    Io devo chiedere !!
    Non è così facile riconoscere la farina di segale cinese da quella autoctona( che costa 10 volte di più), o dei legumi bio da piccolo produttore da quelli che vengono dall’est europa…
    Io non sono capace e sfido chiunque a essere esperto su qualsiasi materia prima ti possa capitare al ristorante.
    Voglio che ci sia almeno un briciolo di storia dietro quello che mangio.
    C’è poi da dire che ognuno di noi ha le sue fisse…
    Io non guardo molto l’extra , che so…tipo il fiore o lo “smigolatore” ( al quale darei invece una forchettata nella mano, come al suo collega versatore d’acqua) guardo invece alla materia prima , alla sua origine , poi alla fantasia o alla tradizione.
    Insomma mi stuzzica quel tipo di ricerca lì.
    Però ci sta che a uno non freghi nulla e guardi altre cose.
    Secondo me serve una chiave di lettura, un interpretazione.
    Altrimenti ci si muove in tondo.
    Tipo: “Per me era buono e ho speso poco…”
    seee te saludeee !!
    Essendo insomma quella la mia chiave di lettura per poter dire ” ho mangiato bene”
    vi dico che il prezzo minimo da pagare per mangiare bene è quello che pagherete per un “cibo di strada” fatto da dio, di tradizione e con materie prime prevalentemente locali e da piccolo produttore.
    Meglio che in molti posti a 70 euro.
    Ciapa !

    1. Carlos Mac Adden ha detto:

      Verissimo Michele, ineccepibile, io comunque avevo iniziato circostanziando un poco la mia domanda e limitandola a una proposta “formale”, seduti a un tavolo e con un paio di portate. Adoro il “cibo da strada”, dalla panizza al pani ca’meusa, dalla farinata alle tante fritture e l’elenco potrebbe continuare … mal sopporto o non sopporto tout court quando si cerca d’inquadrarlo, “addomesticarlo” – i sociologi direbbero forse “glocalizzarlo” -. Credo, e vorrei il tuo ulteriore commento, a costo di ripetermi che una proposta, bellissima, come quella che tu fai abbisogni di gente curiosa, vitale, e a costo d’inimicarmi qualcuno temo sia una specie un poco in pericolo: molto all’esterno pare andare in direzione opposta. Che ne dici poi dell’idea di Enrico Togni?

    2. Concordo pienamente con Michele, ed è questo il bello di andare a mangiare al La Madia, sai che quello che ti viene offerto è frutto non solo di una ricerca, ma soprattutto di un rapporto di fiducia tra Michele e i suoi fornitori.
      Lui stesso ammette che non è in grado di riconoscere la differenza tra la provenienza di una materia prima e l’altra, ed allora che fa? si fida di chi gli ispira fiducia e, soprattutto, è lui che va a prendere i prodotti e non si affida ai distributori!

  7. Michele Valotti ha detto:

    Volevo solo dire che bisogna , prima di cominciare il ragionamento, decidere la nostra chiave interpretativa. Se sono le materie prime , anche povere, ma ricche di Storia, quelle che determinano la nostra soddisfazione( ovvio, siano trattate in maniera consona), allora ti posso dire ipoteticamente, per tre portate in un locale mooolto semplice, con pochissima scelta, attento alla selezione ma senza cercare rarità, per un menù …che ne sò…zuppa, spezzatino, torta di pane, caffè,acqua, un bicchiere di rosso dignitoso…bhè forse, anche a 20 Euro.
    Mi manca un posto a Brescia che serva solo poche zuppe in ciotole di legno e solo un paio di secondi con tagli poco nobili, alla buona, tipo appunto spezzatini vari, tre tipi di torte semplici con del vino della casa di un piccolo produttore della zona…
    In un posto così , secondo me, con 15/ 20 euro si possono servire ottime materie prime scelte, territoriali e da piccolo produttore( verdure anche bio, carni bio da razze autoctone…insomma roba così…).
    Invece siamo sommersi da trattorie che servono 15 portate a 20 euro…e vai di insalata russa in fusti da 20 kg!!

    La proposta di Enrico sarebbe da riformulare, dovete rendermela più chiara per farmi capire di cosa si tratta

    1. Carlos Mac Adden ha detto:

      Mi manca un posto a Brescia che serva solo poche zuppe in ciotole di legno e solo un paio di secondi con tagli poco nobili, alla buona, tipo appunto spezzatini vari, tre tipi di torte semplici con del vino della casa di un piccolo produttore della zona…

      Sai l’ASL a sentir parlare di ciotole di legno … Norme a parte, continuo a pensare si stia creando un divario tra questo tipo di proposte e le richieste, o le presunte richieste, di una parte dei consumatori. Penso a chi cerca il branzino come unico pesce commestibile, o la tagliata come unica carne proponibile e via di questo passo. Da anni sostengo che molti locali hanno dei menu con troppi piatti per poter pensare a una minima cura (intesa ampiamente) degli stessi, ma mi chiedo quanti condividano la mia opinione.
      Per quanto riguarda la proposta di Enrico giro a lui la risposta.

  8. Pablo Zucchi ha detto:

    Riporto un vecchio post di OGIGIA sull’argomento
    http://www.ogigia.com/2007/10/17/litalia-low-cost-con-10-euro-a-pasto-e-possibile/

    L’Italia low cost, con 10 euro a pa­sto è possibile

    Pubblicato il 17 ottobre 2007

    Man­giare bene spen­dendo poco. In Ita­lia, sor­presa, è pos­si­bile. Anzi, è una ten­denza. Ba­sta con i ri­sto­ranti dal conto che pro­sciuga la carta di cre­dito, nes­suna pietà per i «menù tu­ri­stici » di pa­sta scotta e bi­stec­che car­to­nate, alla larga dalle piz­ze­rie che, per pizza e birra, chie­dono mi­nimo 20 euro.

    Ecco, per esem­pio, cos’ha scritto Mark Bitt­man nella sua ru­brica di viaggi sul New York Ti­mes a pro­po­sito di Pepi, lo­cale trie­stino: «Si man­gia un piatto di carne mi­sta a soli dieci euro e, in vita mia, non ho mai man­giato carne così buona. Guai a chi mi par­lerà an­cora male di Trie­ste». Lo stesso au­to­re­vole quo­ti­diano ha sco­perto, que­sto sì che è uno scoop, che an­che nella ca­ris­sima Ve­ne­zia è pos­si­bile sfa­marsi, senza ri­schiare un’epatite, con la mo­dica spesa di 12 euro: «Fate come i ve­ne­ziani — è l’esortazione — , re­ca­tevi ai ba­cari (sorta di oste­rie) dove as­saggi di po­lenta e mer­luzzo, gam­be­retti, pane to­stato e sa­lumi co­stano circa 12 euro».

    Se­condo la stampa in­glese, quanto a ri­sto­ra­zione a basso co­sto, il mas­simo è rap­pre­sen­tato da Na­poli e, da non cre­derci, dalla lus­suosa Co­stiera Amal­fi­tana: «Fer­ma­tevi in un pic­colo ho­tel o in un B&B e cer­cate le vec­chie trat­to­rie dai prezzi ra­gio­ne­voli e il cibo ec­cel­lente come la Ta­verna del Leone a Po­si­tano», in­vita il Guar­dian. Men­tre l’inviato del Fi­nan­cial Ti­mes in mis­sione a Roma an­nun­cia al mondo della fi­nanza che nella ca­pi­tale «all’Antico Forno Ro­scioli i primi piatti co­stano circa 5 euro». E Usa To­day si stu­pi­sce che in Pu­glia «la pizza con moz­za­rella e po­mo­doro co­sta an­cora 2,50 dol­lari». La ten­denza è ca­val­cata an­che dalla nuova edi­zione de «La gola in ta­sca», guida che fa da com­pen­dio alle re­cen­sioni pub­bli­cate da al­tre ce­le­bri guide eno­ga­stro­no­mi­che come «Gam­bero Rosso», «Mi­che­lin », «Oste­rie d’Italia», ecc., e che, quest’anno, tra i circa 11 mila ri­sto­ranti re­cen­siti, né ha in­se­riti ben 2.500 dove è pos­si­bile man­giare bene spen­dendo meno di 25 euro a te­sta.

    In­somma, un mi­ra­colo ita­liano con­tro il ca­ro­vita della ta­vola. Lo sa bene Da­vide Ol­dani, 40 anni, mi­la­nese, uno dei più chiac­chie­rati chef del mo­mento. Il suo ri­sto­rante, il D’O (una ex trat­to­ria per ca­mio­ni­sti che oggi vanta una stella Mi­che­lin) a San Pie­tro all’Olmo, fra­zione di Cor­na­redo in pro­vin­cia di Mi­lano, per cena è com­pleto per i pros­simi sei mesi. Se chia­mate oggi, ad an­dar bene, vi da­ranno un ta­volo per febbraio-​​marzo. Ol­dani, tra i cuo­chi di rango (ex al­lievo di Gual­tiero Mar­chesi), è stato il primo, quat­tro anni fa, a in­tra­pren­dere la strada della ri­sto­ra­zione a basso co­sto (per il cliente) ma di qua­lità. Dal lu­nedì al ve­nerdì, a pranzo, il menù com­po­sto da primo, se­condo e caffé (be­vande a parte) è a prezzo fisso: 11,50 euro. La sera, è pos­si­bile sce­gliere tra un menù de­gu­sta­zione a 32 euro; alla carta, per un pa­sto com­pleto si spen­dono 35–40 euro. «Con la con­cor­renza che c’è è l’unico modo per la­vo­rare», dice Ol­dani. La scelta vin­cente è stata «pun­tare sulla cu­cina tra­di­zio­nale, ma­te­rie fre­sche, di sta­gione e lo­cali. Per dire, i po­mo­dori escono dalla mia cu­cina il 21 set­tem­bre e rien­trano il 20 giu­gno. Lo stesso per le zuc­chine o il me­lone. Solo così è pos­si­bile te­nere i prezzi bassi». Lo chef, forte del suo suc­cesso, non ha dubbi: «Non cri­tico chi pra­tica prezzi alti ma io non lo fac­cio. La clien­tela è pre­pa­rata, co­no­sce la qua­lità dei cibi e sa qual è il prezzo giu­sto. L’epoca dello spen­dere fa­cile al ri­sto­rante è finita».(R. Rizzo)

  9. Michele Valotti ha detto:

    Vorrei solo dire che se ha un senso parlare di prezzo minimo, di trattorie legate alla terra, di piccoli produttori …allora qualche passo indietro rispetto alle mode, alle pose, al cibo status simbol, dovremmo pur farlo. Poi ognuno è libero di cercare e trovare cio che vuole.
    Però bisogna anche essere chiari.
    Se per essere contenti dobbiamo , come conditio sine qua non, trovare astice, vini francesi di quelle marche che ci hanno detto essere le migliori, una carta vini da 700 etichette….va bhè
    allora parliamo d’altro.
    Il fighettismo gastronomico è salutare solo se diventa l’imput per iniziare un percorso di conoscenza che parte dal cibo e arriva a noi stessi e al mondo che ci circonda. Così come viene spesso interpretato nella nostra “ex opulente” provincia è, secondo me, deleterio.
    Io lo trovo volgare.
    Un esercizio pleonastico di saccenza infeconda.
    Insomma una forma di intellettualismo che non si cura della globalità, che non è inclusivo !!

    Arrivare a delle risposte è dura, ma la filosofia è l’arte della domanda.
    Sarebbe ora di farsele.

    1. Carlos Mac Adden ha detto:

      Per questa ragione Michele avevo sin dall’inizio escluso il vino, avrebbe aperto dibattiti e considerazione che non m’interessavano affatto in questo contesto. Apro una brevissima parentesi per dire che molte volte, anche da parte di persone che si occupano professionalmente di recensioni e guide, leggo quelle a mio avviso sono grandi incongruenze: si parla del prezzo, mi sembra giusto, e poi si lamenta l’assenza di un prodotto che inevitabilmente l’aumenterebbe e non poco sulla singola portata in cui si utilizzasse. Le grandi carte dei vini, o molte delle proposte particolari richiedono immobilizzi di capitale che contrastano con l’idea di poter offrire un pranzo interessante, con prodotti magari del territorio (e magari buoni e sani, che le due cose non sono sinonimi), dimenticando tra le altre cose che anche la ricerca di alternative (piccoli produttori, giovani, realtà non conosciute dal grande mercato) comporta costi in termini di tempo, di ricerca … Portando dalla mia pagina fb sul blog di MadeinBrescia questo dibattito l’ho indubbiamente caratterizzato, effetto che non ho tenuto nella giusta considerazione. Probabilmente era nelle mie intenzioni farlo, e l’ho esplicitato inserendolo in un luogo che parla di piccole/medie produzioni, di persone che operano nella nostra provincia, di gente che sta in piedi per passione, orgoglio, convinzione seria e profonda di fare qualcosa di valido da un punto di vista sociale, culturale, etico. Forse ad alcuni potrà sembrare eccessivo il termine “culturalmente valido” al pranzo oggetto del dibattito, ma serve a segnare le distanze, a dividere l’ingerire cibo, anche costosissimo, dal capirne il senso, rispettarlo. I nostri avi, sottratti anche solo per un giorno dal bisogno di placare la fame, ne avevano altra visione, ne conoscevano i tempi, le stagioni, la sacralità, gl’infiniti simboli.

      1. Michele Valotti ha detto:

        Possiamo parlare di cucina e insieme parlare di tutto, dei grandi temi che scuotono il mondo contemporaneo, di filosofia , dietro ogni scelta che facciamo…
        Si può e si deve parlare di cultura, quando si parla di cibo.
        E non solo in un senso ristretto di tradizione, di rapporto etnologico tra usi e costumi e cibo.
        La bellissima e terribile domanda di Terzani… su che sponda sta la felicità?
        Il nostro mondo che corre sempre più veloce , sempre più sicuro di sè, pronto a esportare con la forza le proprie idee e il proprio modello.
        Non è a volte il caso di rallentare , di trovare un sistema di sviluppo altro?
        E il cibo, la possibilità di fare sistema, compatibilmente con l’ambiente, il rispetto per gli animali, contro la spersonalizzazione del cibo imposta dai grandi magazzini…
        Se non è cultura questa…
        C’è tutto capite?
        C’è tutto.

  10. Carlos Mac Adden ha detto:

    Vorrei chiudere, temporaneamente s’intende che mi piacerebbe si aggiungessero via via altri commenti, questa tornata di osservazioni. Compito non facile, di argomenti ne sono stati inseriti davvero tanti e molti degni di nota. Definirei, facendo una media, quel prezzo o meglio quella fascia contenuta nella domanda iniziale attorno ai 25/30 euro ma a questo punto lasciare un valore numerico “spoglio” delle tante connotazioni emerse sarebbe quantomeno riduttivo. Cosa ci aspettiamo da quel valore o meglio cosa c’interessa vi sia compreso? Certamente serietà, che significa trasparenza, impegno: credo che molti si scandalizzerebbero se fissato un appuntamento con un legale lo stesso, per risolvere il nostro problema ci desse in mano un “bigino” del codice civile indicandoci il numero della pagina che dobbiamo consultare e successivamente, lasciatoci il tempo della lettura, la sua parcella. Questa è la mia sensazione quando vedo i carrelli della spesa di alcuni ristoratori: siamo in un regime di libero mercato, ci mancherebbe, solo vorrei avere la possibilità di scegliere, di capire la realtà di quanto mi si sta offrendo, di vedere la vera “etichetta” di quello che mi si sta offrendo. Perché una cosa importante come il cibo, importante da tanti punti vista, dovrebbe essere sottratta al confronto, ne dovrebbe essere negata la dimensione culturale? Il problema, uno dei problemi che ci riguardano da vicino, è la nostra conoscenza o se volete, la nostra ignoranza, l’allontanarci sempre di più dalle fonti di produzione del cibo ma ancora prima da chi effettivamente ne è l’artefice. Il solo, a conti fatti e con estremo realismo, a poterci dire come e perché è arrivato a quel prodotto. Certo, una cucina della materia prima, di cui tutti si riempono la bocca, non è da tutti praticata ma, ancor prima, è probabilmente da poco pubblico veramente voluta. Forse perché comporta la fatica della scelta, della ricerca, del dialogo. Arrenderci?

    1. giuseppe ha detto:

      Non ho seguito in tempo reale il dibattito ed arrivo ultimo a proporre il mio punto di vista che è essenzialmente : il prezzo giusto di un pasto è quello che pago volentieri. A casa mia mangio molto bene ed a volte mi sento soddisfatto anche di due fette morbide di pane con lievito madre farcite di ottima bologna al pistacchio ed accompagnate da un tulipano di Bellavista. Ma se vado a cena fuori non guardo il menù dalla parte destra, quella del prezzo. Valuto quello che pagherò in base a come mi sono sentito,se ho mangiato bene, se sono stato accolto bene, se cibo ed ospitalità mi hanno dato qualche emozione.Dò un valore al servizio,anche, ma soprattutto al patron e se è una bella persona mi faccio coinvolgere dalla sua passione.Se volessi spendere 20 € come ho letto, andrei in pizzeria dove il prezzo è proporzionale al clamore, al fastidio del vocìo, all’approssimazione del servizio, al clima di mangia e fuggi che pervade l’ambiente.All’amico che chiede se deve ritornare in Valtellina,a parte le considerazioni sulla difficoltà a dare credito alla sua esperienza,dico senza tentennamenti :trasferisciti lì.Hai trovato il tuo ambiente:và dove ti porta il cuore.E a chi dice che 25-30 € sono il giusto anche se un pò tanto, dico che ha ragione se per lui mangiare è nutrirsi e non emozionarsi.Voglio solo aggiungere che dietro un conto c’è sia il profitto dell’oste (sacrosanto se lavora bene) che il costo di gestione e di materia prima e a determinati prezzi, statene certi perchè navigo da una vita questi mari,la materia prima non può essere di qualità elevata e la sua freschezza non può essere garantita.Vado a casa con un desiderio : una rosetta di Sarioli con una frittatina di cipolle,un ballon di Fantecolo di Mosnel, due pezzetti di cioccolata fondente 80%, un dito di rum agricolo del 1997 ed un avana robusto.Buon appetito a tutti

      1. Carlos Mac Adden ha detto:

        Non posso che accogliere con gratitudine questo commento di Giuseppe: pacato, sereno, sicuro. Grazie per il contributo.

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