Lascio volentieri la descrizione delle persone che hanno reso possibile e animato questa cena bresciana dedicata al castrato, al più che esauriente commento di Michele Corti sul suo sito/blog Ruralpini, per dedicarmi con piacere alla descrizione e al senso da me percepito di quanto Michele Valotti ha proposto nel suo locale di Brione lo scorso sabato. Preciso subito di aver trovato più che interessante sia la sequenza di piatti
“ufficiali” che gli assaggi – sono riuscito a provarli tutti – e di aver colto alcuni pensieri che mi hanno aiutato ad esprimere delle riflessioni sia di carattere generale che sulle specifiche portate.
Primo dei due antipasti è il Monococco agli spinaci, carpaccio di castrato e zuppetta di Fleur du Maquis. Bella partenza per l’utilizzo del monococco, antichissimo cereale della nostra pianura da utilizzarsi non solo trasformato in farina (quasi impossibile non citare una delle grandi invenzioni di Vittorio Fusari: Omaggio alla “Festa di Vico”, zuppa di monococco al nero di seppia, tartare di gamberi e crema di mozzarella a basilico), per la
“zuppetta” a base di Fleur du Maquis, formaggio ovino corso a pasta molle maturato con erbe locali, pepe e bacche di ginepro (che il km 0 senza fantasia e senz’anima lo lasciamo ai tanti cavalcatori di mode), ma soprattutto per la presenza della carne di castrato “a crudo” che si scioglie senza problemi nelle nostre bocche e gioca senza prevaricazione alcuna con gli altri elementi, sconfessando da subito timori e luoghi comuni. Non superabili però risultavano le resistenze di chi non ama confrontarsi con la carne cruda e allontanava le sottili fette dal loro indovinato letto … Sarà un caso ma molti di coloro che si sono così comportati non proveranno le frattaglie, compreso il fegato della portata successiva, proposte come “fuori carta” data l’esiguità della materia prima.
A seguire la Trippa e verdura, fegato confit (tecnica di cottura a bassa temperatura per immersione in un elemento grasso): bello questo piatto dalla consistenza brodosa, verdure in tocchetti consistenti e arrendevole callosità della trippa di castrato;
giustamente sapido il tutto. Accanto del pan brioche tostato ad accogliere una fettina di fegato, dolce e morbido, su cui una mezza noce dava indovinato tocco (avendo l’avvertenza di comprendere il tutto in un paio di bocconi …)
Inizia la sequenza dei primi: Risotto al castrato con gelato di Nostrano Valtrompia d’alpeggio e liquirizia. Il piatto viene servito in un bicchiere da Margarita e con la raccomandazione di consumarlo “in verticale”, in modo da raccogliere nel cucchiaio il caldo risotto, pezzetti percettibili di carne, e il sottostante e freddo gelato di formaggio.
La sensazione è decisamente piacevole, sia per il contrasto delle consistenze che per quello delle temperature. Di bel equilibrio il gelato (conoscendo Michele Valotti immagino la cura nella scelta del formaggio), assolutamente sobrio l’apporto della liquirizia.
Si continua con il piatto più discusso quei Casoncelli con ripieno di ragù bianco di castrato, saltati con topinambur e germogli di piselli. Il topinambur, che peraltro non disdegno, tende a soffocare con la sua nota dolce e il suo ricordo di carciofo i delicati casoncelli, ancora dolcezza, anche se croccante, per i germogli. Probabilmente la preparazione dove meno emerge la carne di castrato, e l’abbinamento con il pur ottimo Grandimani della
Cantina Flonno non è tra i più felici, ne conviene Sandro Sorteni seduto di fronte e che ben conosce il suo vino. Ma dei vini, degli abbinamenti e del senso globale di questi piatti dirò alla fine.
Passiamo ai due secondi che indubbiamente rappresentano il momento dove maggiormente emergono le grandi caratteristiche di questa carne. Il Castrato affumicato e cotto nel fieno di monte risulta piatto di buon impatto visivo e gustativo: nonostante trovi l’affumicatura un poco eccessiva, la bontà del castrato si fa strada subito dopo un iniziale dominio della tecnica di preparazione, ed è tenera, morbida, gustosa, specie dove un filo di grasso è rimasto tra i fasci muscolari. Contravvenendo a quanto prima detto, devo sottolineare quanto qui sia felice il vino di Sandro a cui, per prova, torniamo.
Tra le ultime preparazioni vengono inseriti, per chi vuole, dei piccoli assaggi di “quinto quarto”: bocconi di cervella panati che si sciolgono al solo sguardo e si rivelano essere di grande delicatezza, tocchetti di lingua in salsa all’arancia e del rognoncino che stempera il suo naturale afrore nell’azzeccato abbinamento con fichi e albicocche secche. Avrei saltato un primo per deliziarmi ancora con quel microcosmo di sapori, sempre più emarginato complici abitudini e follie umane (ancor prima che animali), che sono le frattaglie.
Si chiude con la preparazione più monacale, Castrato su piastra di sale con olio di cenere di rosmarino. Credo che qui tutti convengano sulla piacevolezza di questa carne, cotta peraltro in modo perfetto: una sottilissima crosta esterna, rosa l’interno che vira gradualmente al rosso nella parte centrale. Si mastica lentamente, anche per una sopraggiunta sazietà, se ne apprezza la succulenza, la tenerezza, una sensazione congiunta di sapidità e dolcezza. I pastori lasciano visibilmente trapelare la loro soddisfazione: ecco è questa una delle cotture di cui parlavano!
Mi trovo del tutto concorde con il commento di Michele al termine della cena, lo scopo, di là dalla singola preparazione che poteva essere più o meno riuscita e incontrare in modo diverso l’approvazione dei presenti, il senso di questo menù era dimostrare la versatilità e la personalità della carne di castrato, peraltro lontana mille miglia e per tante ragioni da altre normalmente utilizzate nella ristorazione. Agnelloni neozelandesi, normanni (il famoso pré salé), spediti sottovuoto o congelati e quasi esclusivamente sotto forma di cosciotti e carré che inevitabilmente vengono proposti nelle solite preparazioni di routine. E’ indubbio che oltre allo sforzo, all’interesse e alla passione che pastori, agronomi, ristoratori, istituzioni, giornalisti e comunicatori possono riporre in un progetto di valorizzazione e diffusione del castrato locale serve la curiosità e la disponibilità di una più vasta platea che vi si avvicini senza pregiudizi e possibilmente conscia, anche minimante, della sua validità e importanza. Due parole sui vini presentati e sul loro abbinamento dal mio personalissimo punto di vista, anche se come accennato Sandro Sorteni, Cantina Flonno, ma anche Enrico Togni, Az. Agricola Togni-Rebaioli, hanno in buona parte condiviso queste mie impressioni. Sono stati giustamente scelti 3 vini camuni in sequenza, l’Opol di Enrico per i due antipasti, il Grandimani di Sandro e Giacomino Laidelli per i primi e il Camunnorum della Coop. Rocche dei Vignali per i secondi. Direi che l’Opol si è adeguato senza grandi problemi con le prime portate, io l’avrei visto bene anche sul risotto, mentre il Grandimani ha sofferto, e con lui il piatto, sui casoncelli. Provato coi secondi si è invece ben comportato, particolarmente con l’affumicatura, mentre ho trovato un poco monocorde e di eccessiva impronta alcolica il Camunnorum 2007 che avrei preferito su una scheggia di buono e stagionato formaggio camuno: ho comunque ricordi più felici con precedenti annate di questo importante vino.
Le fotografie sono cortesia di Fabio Zucchi. Utilizzo poi questo spazio per dire del piacere nel ritrovare o conoscere dal vivo tanti amici virtuali o meno: Riccardo Lagorio, Stefano Mariotti, Iolanda Provini, Giancarlo Raccagni e naturalmente Fabio Zucchi. Ringrazio poi il Presidente dell’Associazione Pastori Lombardi Tino Ziliani per le parole del suo intervento che ci hanno portato in una dimensione a noi non comune e fatto intuire come possa essere profondo il rapporto che lega l’uomo con gli animali che alleva e custodisce.
Ciao Carlos,
la cena di sabato scorso è stata memorabile secondo molti punti di vista.
Per il tema della serata, la carne di castrato, e la riscoperta di un prodotto che si presta bene ad offrire una valida alternativa al dominio delle carni bovine nella ristorazione. Carne ovina, ma non di agnello, bensì proveniente da un animale che ha vissuto una vita più lunga e dignitosa.
Per la bravura di Michele nel preparare i piatti con innovazione e gusto, utilizzando tutte le parti dell’animale. Le ottime frattaglie (rognoncini, cervella, lingua) erano solo assaggi. Questo a maggior riprova che da due capi non si può ottenere che piccole porzioni per fortunati assaggiatori!
Per la bravura di Silvia nel sapere abbinare i vini camuni al resto della cena. A mio avviso la scelta della provenienza dei vini e il sistema che creano in valle, conta molto di più del giudizio personale sul loro abbinamento o sul fatto che del Cammunorum sia meglio un’annata rispetto ad un’altra. A me per esempio sono piaciuti molto i casoncelli e ho trovato perfetto l’abbinamento con l’acqua, più che con qualsiasi altro vino, vista la ricchezza degli ingredienti del piatto: il delicato e morbido ragù bianco di castrato, il sapore di carciofo del topinambur (lo sapevi che nei ristoranti all’estero viene chiamato “jerusalem artichoke”?), la croccantezza dei germogli di pisello.
Per la tanta bella gente presente alla cena, amici di fb incontrati per la prima volta (Iolanda, Fiorella, Stefano Mariotti, Giancarlo Raccagni, Michele Corti, Enrico Togni) e altri amici con cui ho sempre piacere scambiare opinioni (Riccardo Lagorio, Michele Valotti, Carlos, Silvia, e Michela).
Grazie a tutti per aver contribuito a rendere questa serata memorabile, e in particolare a Michele Valotti per la bravura, l’intelligenza, l’assoluta non banalità e la passione che ci mette in tutto quello che fa.
Tutto vero Fabio, i miei erano, come specificato, personali considerazioni che non inficiano affato la validità dell’insieme ma, anzi, a mio avviso testimoniano la massima attenzione posta a ogni singolo piatto. Se mi fossi limitato a dire tutto buono, tutto buono, forse sarei stato un poco meno credibile. Se il cibo è anche gioco, e il gioco è una cosa seria, giochiamo coi dettagli consci del fatto che dettagli sono, se del Camunnorom ricordo altre vette perché non dirlo, chi ha conosciuto solo quella bottiglia sarà invogliato a cercarne altre, a fare confronti. Ben venga l’acqua sui ricchi casoncelli, magari posso tentare l’abbinamento, in altro contesto, in altro momento, con un bianco pieno, anche non bresciano, anche non italiano e in sottofondo ascoltare, l’ho fatto io in macchina per buona parte della mattinata,
Ma te, ma te sta che,
En pe dinans en föch dirè
La not che sera i öcc al de…
En pe dinans en föch dirè
I pas che lüs tra edre e fe…
La not che sera i öcc a me.
Sintetizzo la mia risposta con una citazione … “Il Tutto E’ Più Della Somma Delle Sue Parti”
A proposito della musica a cui fai riferimento, mi fa piacere che tu ti stia documentando per uno dei prossimi post MadeinBrescia!
Di questa canzone mi ha colpito molto la parte che dice
De lons, de lons set riat
Vistit de l’oltem to penser
Malì, malì che no’l ghe
Da mia podì sta che anca te
trad.
From far away you have come
Dressed in your last thought
Here there are no diseases
To prevent you from staying
Sarà che non so ancora sottrarmi al fascino delle parti … Per il post ho già chiesto a Michele ma lo richiamerò.
Mi scuso sin d’ora per il ritardo nella risposta.
Contraccambio l’immenso piacere di avere approfondito la conoscenza di molte persone che fino a quel momento si era limitata a scambi virtuali di opinioni.
Spero che le occasioni di ritrovarci, confrontarci e chiacchierare amabilmente non manchino.
P.S.: sono passato da Federico con Matteo ed ho assaggiato un gran Lamburger: i complimenti agli ideatori, ai produttori ed ai realizzatori di tale piatto!
Ne sono sicuro Giancarlo, quanto alle osservazioni sul “Lamburger” voglio aggiungere come il piatto rappresenti la risposta, anche ironica, del non omologato sull’omologato, del locale sul globale, dell’incantato sul disincantato, dei luoghi sui non luoghi e potrei continuare citando le tante categorie confrontate da Ritzer …
Gran bella serata anche se impegnativa visto che con Michele e Fabio ci siamo piacevolmente intrattenuti fino alle due nel piazzale della madia (per fortuna c’era il vicino campanile a ricordarci l’ora).
Ottimi i piatti, grande carne e sui vini non parlo, sarei di parte.
Concordo con Carlos sull’abbinamento del “grandi mani”, sui secondi è andato molto meglio che non sui primi, ciò comunque nulla toglie al lavoro di Sandro e Giacomo che in poco tempo e con tanta passione sono stati in grado di costruire una gran bella realtà in valle.
La parte della serata che più mi è piaciuta è stato l’intervento di Ziliani, presidente dell’associazione pastori lombardi, il quale ha sostenuto concetti fondamentali della vita del pastore e tanto lontani dalle regole delle vita moderna (cit. ad es.”se voi per andare a milano ci impiegate più di due ore vi arrabbiate, io se ci impiego più di due giorni sono contento perchè vuol dire che i miei animali hanno trovato buoni pascoli e non si sono affaticati”)
Grande passione, umiltà, tenacia, questo è l’amico Enrico Togni e questi siamo noi viticoltori di montagna fortemente legati alla propria terra. Uomini dalle poche parole schiette e sincere, ringrazio dunque Enrico per le parole di stima nei confronti della Cantina Flonno rappresentata dal sottoscritto e dal cugino Giacomo.
Sabato 09/04/11 di ritorno dal Vinitaly “stracotto” dopo una giornata calda e intensa trascorsa allo stand del Consorzio IGT Valcamonica, mi sono recato alla Trattoria La Madia in occasione della serata dedicata al Castrato . In un luogo incantevole allo spegnersi degli ultimi raggi di sole, la piacevole brezza di tramontana accompagna i presenti alla tavola. Al termine della serata lasciavo il locale letteralmente rigenerato nel corpo e nei sensi (alle otto ero stracotto, a mezza notte stravivo). Lasciando agli esperti il commento delle portate, mi limito ad affermare che il personale risveglio dei sensi è stato piacevolmente innescato e tradotto dagli antipasti al dolce dalle mani di Michele Valotti che con grande maestria ha saputo interpretare e plasmare eccellenti materie prime, frutto queste, della dedizione e dell’ instancabile lavoro dei piccoli “grandi” produttori. Riguardo al Castrato, confesso che sono rimasto colpito dall’autentica piacevolezza e versatilità di questa carne come giustamente sottolineato da Carlos ( conosciuto al tavolo con la moglie) con particolare riferimento al Lamburger preparato allo Scultore di Brescia, che ho avuto il piacere di gustare recandomi dopo qualche giorno da Federico, che ha saputo inoltre deliziarmi con la Pasta di pane di Monococco con salsiccia di………Castrato. Tornando alla serata alla Madia, penso che Michele e i suoi collaboratori abbiano sapientemente tradotto il vero carattere del castrato esaltandone le caratteristiche di unicità e tipicità della carne, accostata a vini di montagna espressione appunto di unicità, tipicità e territorialità.
Buona Serata Sandro
Grazie davvero delle tue parole Sandro, schiette, precise e dense di quella autenticità che rende tutti voi unici.