L’Italia da qualche anno continua a perdere posizioni nelle classifiche dell’attrattività turistica internazionale, Brescia, in linea, pare seguire questa tendenza come evidenziato sul relativo dibattito in corso durante l’ultima settimana. Recente l’intervento di Tino Bino, docente della Cattolica, apparso sulle pagine locali del Corriere della Sera sotto il titolo “Per una cultura dell’accoglienza” prontamente seguito da un pezzo di Massimiliano Del Barba – Turismo, peggio di Brescia solo Potenza – che raccoglie le opinioni di Alessandro Fantini, presidente di Federalberghi Brescia. Senza nulla togliere a quanto affermato sulle potenzialità dell’iscrizione del complesso monumentale San Salvatore – Santa Giulia nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, e sulle difficoltà nel cambiare in archi temporali brevi una mentalità radicata da decenni come espresso dall’assessore Arcai, mi pare di cogliere una grande assenza evidenziata da due considerazioni, la prima che, tornando all’Italia, la nostra nazione resiste nelle prime posizioni per quanto riguarda la cultura e l’offerta del cibo, la seconda che il patrimonio che essa offre non è facilmente, non voglio utilizzare il termine impossibile, riproducibile in altre parti del mondo.
Brescia potrebbe raccogliere, essere sintesi, dell’incredibile varietà di prodotti, di tecniche di lavorazione, di coltivazioni e tradizioni che il nostro territorio offre. Oltre all’indubbio patrimonio artistico perché non sfruttare con accortezza e serietà questa ricchezza? Perché disconoscere che la presenza di luoghi della ristorazione e dell’offerta enogastronomica, dal ristorante all’osteria, dall’enoteca al mercato, realizzati con serietà ed onestà culturale possono diventare attrattiva importante per un turismo curioso e qualificato al pari di altre? Spiace dire che alcuni tentativi, pur supportati da investimenti non trascurabili e magari da buone intenzioni di base, siano pressoché naufragati per nebulose gestioni, mancanza di un filo logico conduttore, reale valorizzazione dei produttori, e conseguentemente dei prodotti, capaci di fare la differenza perché realmente espressione di una sapienza del fare e non di un semplice “produrre” per mere, e fondamentali, ragioni di profitto. Per non parlare della apparente difficoltà nel comunicare e promuovere secondo modalità attuali e corrette, coinvolgendo non indiscriminatamente ma rivolgendosi a fasce di utenti, ne esistono eccome, sensibili a un’offerta di qualità.
Perché non rilanciare alcuni cibi da strada o da consumo, non è utopia, allo stesso tempo veloce e intelligente? Ne volete uno? Penso a una scodella di trippa con accanto una fetta di buon pane e un bicchiere dei tanti rossi giustamente “facili” che la nostra provincia è in grado di offrire. Ma penso anche al diffondersi dei tanti mercati organizzati direttamente dai produttori, semplicemente con maggiore organizzazione, varietà e felicità di allestimento, che anche l’occhio vuole la sua parte. Resto perplesso quando, all’opposto, visito rassegne non dissimili dalla più banale e triste, non me ne vogliano i paesi, fiera paesana, ridotta a un insieme quanto mai eterogeneo di rivenditori che assemblano di tutto sotto umiliate bandiere di sapori più o meno regionali.
Tutto questo senza integralismi come ripeto da sempre, ma anche senza facili accodamenti modaioli, ora pare che tutto sia a km 0, sbarcati di recente, ultima “conquista”, sui siti di sconti e risparmi. Mi piace che in una città come Brescia si trovino offerte, che ne so, di ottimo pesce di mare, magari proposte in chiave moderatamente creativa o fedeli a tradizioni delle nostre isole (ne abbiamo, tranquilli). Che sarebbe davvero splendido se chi deciso a visitare con calma la nostra città, alloggiasse in un buon albergo e decidesse di concedersi una sera manzo all’olio e un’altra un piatto di croccanti molluschi con verdure di pari consistenza.