«Il mondo intorno a noi cambia, la ristorazione italiana si rinnova. … Ed è certo che sull’evoluzione del concetto di osteria si gioca buona parte del futuro della ristorazione italiana» Sono due delle tante riflessioni a firma Marco Bolasco e Eugenio Signoroni, contenute nella presentazione di questa guida 2014 «…una delle più interessanti di sempre: tantissime le novità, piccoli e rari indirizzi ancora poco conosciuti o insegne storiche che hanno aggiornato la loro proposta» per utilizzare ancora le loro parole.
Non incolpo certo a loro, o se non minimamente ai loro collaboratori, che quanto detto non possa essere applicato che in misura omeopatica al nostro territorio. Ho scorso le pagine sempre più affannosamente, cercando un segno, un riscontro di quelle considerazioni tra le località della nostra provincia e del suo capoluogo, sino ad arrivare a Vione (Cavallino), omesso nello scorso post per mia negligenza, con un senso di rassegnazione. Unico ingresso, segnalato come sempre dalla scritta Novità, quello del Porto di Moniga, il ristorante di Wanda Perotti, citato nella sezione Acque dolci di Lombardia, che penso rientri nelle insegne storiche con proposta rinnovata. Locale che che pesce d’acqua dolce a parte – il primo e unico che l’ha proposto con tanta convinzione e coraggio -, poco ha da condividere, a mio avviso, con il concetto di osteria.
Immutata la situazione altrove, se escludiamo la scomparsa del Melone di Iseo: potete tranquillamente riguardarvi quanto scritto per la scorsa edizione per sapere, in linea generale, cosa ci si possa aspettare nel bresciano. Ed è un peccato, lo dico senza sentimentalismo alcuno, che una zona d’Italia ricca di piccoli produttori , e di formaggi, salumi, mieli, oli, vini, conserve… trovi poche realtà che abbiano voglia – e tempo – da dedicare alla loro valorizzazione. Quel che si muove pare andare in direzioni diverse, ancora alla ricerca di una propria identità, ancora poco definibile e certamente da rodare. Invidio altri luoghi, altri parti d’Italia che staranno celebrando la riscoperta di tradizioni, la loro reinterpretazione da parte di osti di variegata età ma di comune passione.
Nessuno si adombri per la concisione di questo post, chi non ha mai acquistato una guida ha comunque buone ragioni per farlo, non ultima il confrontarla con altre modalità di recensione.
Ciao Carlos, non sono mai stata al Porto di Moniga, ho solo visto poco fa il sito. A primo avviso effettivamente, leggendo il menu, noto due cose: come scrivi tu, del territorio scorgo solo le ricette a base di pesce di lago e inoltre i prezzi mi sembrano un po’ alti, dubito che per un pasto possano bastare 35 euro (uno dei presupposti della guida in oggetto). Io sono stata alla presentazione della guida a Salò un paio di settimane fa e in quell’occasione Eugenio Signoroni ha dato una bella ed esaustiva spiegazione sul concetto di Osteria per Slow Food. Mi piacerebbe conoscere il tuo pensiero per fare un confronto…
Non potrei essere più d’accordo con te su questa affermazione “Ed è un peccato, lo dico senza sentimentalismo alcuno, che una zona d’Italia ricca di piccoli produttori , e di formaggi, salumi, mieli, oli, vini, conserve… trovi poche realtà che abbiano voglia – e tempo – da dedicare alla loro valorizzazione. Quel che si muove pare andare in direzioni diverse, ancora alla ricerca di una propria identità, ancora poco definibile e certamente da rodare. Invidio altri luoghi, altri parti d’Italia che staranno celebrando la riscoperta di tradizioni, la loro reinterpretazione da parte di osti di variegata età ma di comune passione”. A presto, Arianna
Chiedo venia per il ritardo con cui pubblico e rispondo al tuo commento. Che dire se non riscontrare identità di vedute… Il Porto di Moniga è stato il primo e pressoché unico valido ristorante a dare dignità e non solo al pesce di lago con ricette innovative, stimolanti. Poi i tempi sono cambiati e trovarlo in questa guida mi lascia, in tutta onestà, un filo perplesso. Sul termine osteria non vorrei cadere nel sentimentalismo, nella malinconia strappalacrime, per me osteria oggi potrebbe essere un locale, nuovo o vecchio m’interessa relativamente, dove si utilizzano prevalentemente (niente integralismi) prodotti del luogo, dove il vino è amico e può accompagnare anche un solo, semplice, piatto. Dove il costo finale dovrebbe rimanere entro limiti definiti – vino a parte? -, dove il rapporto umano costituisce elemento fondamentale, irrinunciabile. Ma non vorrei che le definizioni creassero od obbligassero a realtà ingessate, chiuse al nuovo, al trasversale. Vedo l’osteria come occasione d’incontro; un piatto di trippa, un bicchiere di vino senza problemi o, per contrasto, un piatto in cui elementi locali vengono assemblati secondo l’estro – non improvvisato – di chi sta ai fornelli con vera passione e reale intelligenza, magari abbinato a un vino su cui discutere… L’oste figura irrinunciabile per chi non intende assumere quantità prestabiliti di calorie politicamente corrette. Da questo punto di vista mi lascia, sono incontentabile, ancora perplesso l’esclusione da quella guida di un altro locale di Moniga, forse più vicino a questi concetti, senza nulla togliere, ho ricordo davvero felice di un «ultimo pasto», al Porto di Wanda Perotti.
P.S.: grazie davvero per il tuo intervento, a presto…