Poco meno di una settimana fa appariva su La Nazione – edizione di Massa Carrara – una sorta di appello/denuncia fatto da Margherita Dogliani del Biscottificio Piemonte dal titolo vagamente wertmülleriano: «Al supermercato colombe a un euro e 90. Merci di qualità e lavoro non possono costare così poco». In sintesi la titolare, con la famiglia, di quella realtà si chiedeva come fosse possibile e permesso vendere a quel prezzo un prodotto di fatto impossibile da realizzarsi a siffatti costi (dimenticando naturalmente qualsiasi parvenza di marginalità), prezzo non solo fuori da ogni logica produttiva seria ma anche comunicatore di «un messaggio assolutamente negativo».
Ieri nella mia casella di posta elettronica un messaggio dell’amico Franco Ziliani riportava il link ad un suo ennesimo scritto, ne sono ormai comparsi ben più d’uno, dedicato alla vendita di un Franciacorta a prezzi «stracciati». Ed è questo comune tratto a farmi collegare i due episodi, visto che, uomo all’antica, non mi riesce ancora, e probabilmente non mi riuscirà nemmeno in futuro, di abbinare le tipologie franciacortine prevalenti con un lievitato dolce. So che qualcuno l’ha suggerito ma, ecco, già parlarne mi riesce difficile, sia perché l’unica tipologia che potrebbe tentare un matrimonio, d’interesse se non d’amore, è un Demi-Sec, prodotto, che io sappia, unicamente da 5/6 cantine in tutta la Franciacorta.
Credo tuttavia, a titolo squisitamente personale, che le due cose non siano del tutto sovrapponibili, nemmeno paragonabili probabilmente, se non per l’incongruenza, la distonia, tra ciò che quei prodotti dovrebbero essere e suggerire e ciò che invece comunicano utilizzati in modo del tutto strumentale dalla GDO. Qui finiscono i tratti comuni visto che per le colombe nel breve periodo pasquale si tratta di sorte ormai segnata, che da anni fa parte di un modo di fare marketing, piaccia o meno, e che dovrebbe farci pensare di come la distribuzione moderna viva e senta il prodotto: parliamoci chiaro, vero è che in questo caso, come in altri, i margini di guadagno sono azzerati, dato che ci troviamo di fronte ad un’operazione di vendita sottocosto anche se penso sia automatico da parte di un consumatore minimamente attento chiedersi che farina, che burro, che canditi, che uova, che quantità possano portare a costi base talmente bassi da permettere l’importo finale citato nelle prime righe.
Diversa storia per il Franciacorta, bottiglie ed etichette «svendute» sono fenomeno sporadico, che compare qua e là senza un preciso ordine, anche se pare di cogliere un aumento della sua frequenza negli ultimi tempi. Eviterò di chiamare in causa per l’ennesima volta bottiglie provenienti da un ormai epocale fallimento, ci troviamo solitamente di fronte a Franciacorta provenienti da cantine più o meno importanti che di fronte ad un aumentare delle giacenze utilizzano marchi ed etichette diverse per affidare alla grande distribuzione l’invenduto. Fin qui nulla di male, il guaio inizia con l’utilizzo che di queste bottiglie viene fatto, ossia il proporle al consumatore finale a prezzi per lo meno imbarazzanti, in qualche caso sovrapponibili, o addirittura inferiori, a quello di vini spumantizzati con metodi lontani da quello classico e dai suoi tempi. Cosa curiosa è che interrogati a tale proposito, risalire alla cantina non è cosa improba, i produttori si dimostrano stupiti, del tutto ignari dell’uso – leggi quotazione finale – che la GDO fa del loro Franciacorta che è sì tale ma proposto, qui ritorna il collegamento, a un prezzo deleterio per l’immagine che quel vino vuole giustamente crearsi sul mercato e veicolante tutta una serie di quei messaggi negativi citati dalla Dogliani.
E se qualcuno, specie per il dolce della tradizione, s’inalbera dicendo che quel costo lo rende accessibile a chi altrimenti se ne priverebbe faccio presente di avere estremo rispetto per il denaro altrui, specie se guadagnato onestamente, con la fatica e l’impegno quotidiani, ma ritengo che un dolce sia prodotto voluttuario, non primario. A nessuno dovrebbe essere negato il pane, ma il pane è altra cosa, qui a quei prezzi si specula sulle persone, su quelle che lo producono direttamente, su quelle che producono le materie prime (o che ai prezzi richiesti non possono produrle…), a quelle, non ultime che le acquistano, perché la vendita sottocosto o con marginalità prossime allo zero ha come unico scopo quello di attirare compratori che probabilmente acquisteranno altre cose. Si diffonde l’idea che a quel prezzo sia possibile realizzare un dolce buono (non che semplicemente «non faccia male» perché una colomba la si compra perché faccia festa, sia golosa, soddisfi il nostro palato) e che se trovo una colomba a 15/20 euro ed oltre mi viene offerta da un «ladro».
Il Consorzio, quello di tutela del Franciacorta visto che non mi pare esistere uno a difesa del dolce pasquale, ha più volte espresso la sua non competenza in questo specifico campo ma indubbiamente ritengo non possa chiamarsene fuori o, in altri termini, non prendere atto di un fenomeno che ormai definire sporadico non pare più possibile. Con buona pace di chi tenta improbabili e unidirezionali confronti con i cugini d’Oltralpe. Io, che col passare del tempo tendo sempre più a ritirarmi nel mio guscio ma anche a mediare di meno suggerisco, solo un suggerimento vi prego, di optare per una delle tante buone, ottime, colombe reperibili sul bresciano ed opera di valenti panificatori e pasticceri ed abbinarle ad un Moscato d’Asti se parliamo della versione classica, naturalmente utilizzeremo un buon, ottimo, Franciacorta per l’antipasto, il primo e oltre se avremo l’accortezza e il desiderio di scegliere tra i non pochi disponibili come tipologia e cantina. Buona Pasqua.
Solo poco ore online e un altro post di Franco Ziliani si aggiunge alla ormai lunga serie che pare non riscuotere l’attenzione, e i commenti, dei diretti interessati. Quanto meno provvedo qui di seguito a riportarne il link: grazie Franco. http://www.lemillebolleblog.it/2015/03/30/arriva-la-pasqua-ed-i-mercanti-nel-tempio-franciacorta-pullulano/