Non ho a disposizione i dati dell’affluenza ma quello che ho visto va oltre i numeri, splendida la giornata, come solo alcuni scorci d’autunno riescono a regalare, peccato non avere avuto a disposizione la Canon che talvolta ho con me per fissare i momenti finali di un tramonto su un cielo striato da filamenti di nuvole. La rassegna è quel Profumi di mosto nato per celebrare la fine della vendemmia in Lugana e Valtènesi e giunto ormai alla XIV edizione. Longevità che in questo caso, a differenza di altre rassegne, non significa certo decadenza e riposo sugli allori ma continua progressione.
Alcune considerazioni raccolte nella conferenza stampa che l’ha preceduta, specie per quanto attiene al ruolo di protagonista del Chiaretto, sono riportate nel breve pezzo apparso venerdì scorso sulle pagine bresciane del Corriere della sera – Tre percorsi per scoprire la Valtenesi seguendo i vini a Profumi di mosto -, il resto deriva da un personalissimo itinerario giocato per lo più sul piacere d’incontrare alcune delle realtà che mi hanno accompagnato nei quattro anni passati a girovagare per la provincia in cerca di persone e sapori. Un sentito ringraziamento alla disponibilità dell’organizzazione, e a Claudio Andrizzi suo addetto stampa, che mi ha reso possibile saltare da un percorso all’altro senza limitazione alcuna.
Raccolto il pass a Villa Galnica, sede del Consorzio Valtènesi, la prima sosta l’ho dedicata ai ragazzi – Giacomo, Davide, Irene… – della Basia, bravi davvero nel raccogliere quell’eredità non solo materiale lasciata da una figura come Elena Parona, che ricordo con sincera stima ed affetto. Contravvenendo ogni regola ho subito apprezzato l’abbinamento castagnaccio – la nostra patùna – con della ricotta vaccina e caprina lavorata con una punta di miele. Per nulla disturbato dalla tendenza garbatamente dolce dell’insieme ho assaggiato poi i due vini proposti in degustazione: VALTÈNESI DOC CHIARETTO La Moglie Ubriaca 2014 e VALTÈNESI DOC Estate di San Martino 2011. Del primo un accenno all’esuberante freschezza – leggasi acidità – tratto comune dell’annata e di tutti i Chiaretti provati, del resto credo tutti ricordino il tempo che ha caratterizzato l’intera estate di quell’anno. Ma accanto alla freschezza, che dovrebbe assicurargli buona tenuta nel tempo come nelle speranze di tutti coloro che lavorano affinché il Chiaretto non sia vino destinato a cadere nell’arco di un solo anno, questo vino mi ha regalato sapidità e mineralità a profusione, con i classici sentori della tipologia appena sottotono rispetto a più ricche annate. Impeccabile l’Estate di San Martino, rosso superiore a cui il Groppello regala toni speziati capaci di bella evoluzione.
Dopo La Basia è il turno de Le Chiusure di Alessandro Luzzago, attuale presidente del Consorzio di Tutela. Confesso pubblicamente, non credo di stupire alcuno se ribadisco il mio interesse per i suoi vini, che il trovarci un piatto proposto dal Lido 84 dei fratelli Camanini – fresco 18/20 per la Guida dell’Espresso – sia stato motivo in più per una visita. VALTÈNESI DOC 2013 e VALTÈNESI DOC CHIARETTO 2014 le proposte. Anche questo caso ho posto particolare attenzione al Chiaretto, forse il più profumato e gradevole al naso di quelli assaggiati, ma sempre contraddistinto dai segni dell’annata, verticalità, una certa magrezza, freschezza esuberante. Un filo meno sapido e minerale rispetto al precedente ben rappresenta ad ogni modo quella versatilità che è davvero abito di questa tipologia (Il gentilissimo sommelier mi assicurava poi un sorso di quel sorprendente vino che è il Malborghetto…). Doveroso, mi capirà Alessandro, omaggio alla Crema di radice di prezzemolo e riduzione di passiflora ideata da Riccardo Camanini e servita dalla Signora Camanini, madre di Riccardo e Giancarlo. Bellissimo il sentirla dire come l’idea di un ristorante che unisse ancor di più i suoi figli fosse da sempre presente.
Si riprende la macchina per giungere a Raffa di Puegnago da Pasini San Giovanni, chiedo subito venia a Paolo per l’assenza d’immagini ma l’iPad negl’interni poco illuminati mostra tutti i suoi limiti… Peccato che luci e forme erano davvero suggestive. Vini in degustazione VALTÈNESI DOC Picedo 2013 e VALTÈNESI DOC CHARETTO Il Chiaretto – il vino di una notte 2014 in abbinamento a Tortino di verdure di stagione con fonduta leggera del ristorante Osteria della Cantina. Sul Picedo, toponimo scelto per denominare un vino realizzato sul solco della passata tradizione con soli Groppello e Marzemino – spezie dal primo, frutta, marasche in particolare, dal secondo – facevano bella mostra tartara e salumi della poco distante Macelleria Podavini, felice scoperta di quest’estate. Il Chiaretto era in linea con le caratteristiche dominanti del 2014, quasi una versione intermedia – non per questo meno piacevole – dei primi due. Con Paolo due parole per esprimere in modo concorde quanto manifestazioni di questo tipo, se ben ideate e realizzate, rappresentino una delle modalità più efficaci e felici per realizzare una perfetta simbiosi tra vino e territorio.
Il viaggio prosegue con destinazione la quarta tappa: Pietta con VALTÈNESI DOC 2013 e VALTÈNESI DOC CHIARETTO 2014. Del secondo, provato con dei casoncelli di ricotta al burro e grana, rimane impressa, nei confini ormai detti più volte, una certa maggiore «rotondità» rispetto ai primi tre. Indubbiamente, vuoi perché la scelta è caduta su cantine che adottano stili e interpretazioni di questo vino che trovo particolarmente in sintonia con i mie gusti ma anche grazie a quella che definirei un’ascesa del valore medio di questa tipologia, tutti i vini degustati erano puliti, eleganti, estremamente piacevoli specie se «pensati» su uno dei tanti piatti in grado di formare con il Chiaretto degne coppie cibo/vino. Stefano Pietta ci ha poi incuriositi con l’ultima annata del suo Rismen: l’interruzione della fermentazione regala in questo caso un vino dall’elevata acidità compensata da un residuo zuccherino di una certa importanza (sono curioso di provarlo con dei gamberi rigorosamente crudi…).
La giornata volge al fine e al cambiare della luce cambio il paesaggio, la direzione è quella dell’ultima tappa (non riuscirò a chiudere mio malgrado con una visita a Cobue che avrei rivisto volentieri) Pozzolengo e Podere Selva Capuzza di Luca Formentini, presidente del Consorzio Lugana. Siamo a chiusura della manifestazione ma qualche fetta di salame, sinceramente gradito, non manca, accanto a pane e formaggio. Il palato inizia a mostrare qualche piccolo segno di stanchezza ed è il benvenuto questo Hirundo GARDA ROSÈ brut, uvaggio del Chiaretto, raccolta precoce spumantizzato con il Metodo Martinotti a dare un vino dalla beva pericolosa: frutta rossa, anche un accenno di piccoli frutti, croccante, discreta freschezza. Da provare, con calma, non qui, non ora, il San Martino della Battaglia DOC Campo del Soglio – Luca è tra chi più ha voluto la riscoperta di questo vino, un tempo principe delle bevute lacustri –, il Lugana Riserva Menasasso e il Lume, grande Benaco Bresciano IGT passito, sempre da uve Tuchì (dal 2014 il Ministero dell’Agricoltura ha preso atto del nome di questo vitigno così chiamato e coltivato almeno dalla metà del Settecento nella zona di San Martino) come il Campo del Soglio.
Passare poi in queste zone non può che evocare il fantasma, sempre più corporeo, del TAV e del suo percorso, che di là dall’impatto ridotto rispetto a quello ipotizzato per primo è un’incongruenza precisa rispetto alla vocazione e al miglior utilizzo della Lugana intesa come insieme unico di ambiente, vitivinicoltura, accoglienza. Il tutto per vantaggi che ad una lettura un poco attenta sembrano minimi. Paesaggi, cantine, vini che meritano, oltre al Laguna (ma provate a chiedere qualcosa di diverso dalle due etichette conosciute a Brescia) altra diffusione. Penso ai Chiaretti ma anche ai Rossi a base di Groppello o a qualche bottiglia che vede, col tempo, le interessanti espressioni del vitigno Rebo. Base da cui avviare un turismo attento, rispettoso dei tempi e dei sapori di un luogo, ma anche luoghi da vivere più attivamente, non esistono solo le rive del Garda, da parte dei tanti bresciani che spesso liquidano questi vini frettolosamente, complici, forse, assaggi ormai carichi di anni. Naturalmente la rassegna andava ben oltre le poche etichette e le cinque cantine citate, tre i percorsi, venti le cantine, ogni percorso (con all’interno una tappa jolly, da pescare negli altri due) era un microviaggio in una realtà da conoscere, confrontandone i vini, individuando quali soddisfano al meglio i personali gusti. Come spero molti abbiano fatto in un’affascinante domenica ottobrina.