Reduce dal bell’incontro con Valerio Massimo Visintin, l’occasione il parlare del suo Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi per i tipi di Terre di Mezzo Editore, non potrei certo definire questo post una recensione, un corretto esercizio di critica gastronomica. Manca totalmente l’anonimato, anzi dichiaro pubblicamente, servisse, la mia amicizia nei confronti di Adriano Liloni e, mancasse, quella per Nadia Zampedri, rispettivamente sala e cucina della Pegaso di Soprazzocco di Gavardo. Assente poi qualsivoglia tipo di punteggio, inserimento in una classifica o, apoteosi, l’intenzione di suggerire, consigliare, proporre la frequentazione di quel luogo. Quasi masochistico allora il parlare di un locale atipico della ristorazione bresciana, che sfugge al legittimo desiderio di incasellare, definire, tassonomizzare ogni espressione dell’umano agire.
Occasione, casuale, l’invito di una coppia di amici che in quel luogo non erano mai stati e che, altrettanto casualmente, ha coinciso con il compleanno di mia moglie Elisabetta. Compagni dell’evento altra coppia di amici che ha segnato in modo a mio avviso indelebile le vicende della ristorazione bresciana con l’avventura dello Scultore, il mio Scultore sia chiaro, non certo, come più volte detto, per spregio a chi è venuto dopo. Ancora una volta, la presenza di chi per la prima volta varcava la sua soglia, aggiunge un minimo di obiettività se non di credibilità al tutto, la sensazione di trovarsi in un luogo affatto unico, mix di cose buonissime, buone e meno buone ma tutte trasversalmente legate da grande onestà nel cercare di proporre prodotti unici, che siano i formaggi delle Ramate, i salumi delle Due Casine, i tanti vini di tanti piccoli/grandi produttori offerti con giusti ricarichi, buon pesce e buone carni, conditi con oli, qui mi sbilancio, che molti blasonati locali neppure si sognano.
Questa la Pegaso, nel bene e nel male, nei primi come la Polipante – polpo, porcini e capesante – o la Spissiga – gamberi, pancetta croccante, pistacchi – o la nuova idea della diabolica, un poco di libertà narrativa ecchediamine, coppia: sfoglie di zucca appena candita, ancora pancetta croccante, chicchi di uva glera (la pasta tante volte è quella di Mauro Musso e se pensate che lo espliciti per ragioni economiche peste vi colga senza resipiscenza alcuna). O nei secondi, sempre carne e pesce che s’incrociano senza problema alcuno come il Tonno alla messinese, la Coda di rospo arancia cannella e zenzero (non ne ricordo il nome ma è tra i miei piatti preferiti), la Pluma di Patanegra cotta su piastra di salgemma… Ma è nell’insieme che, a mio avviso, va cercato e goduto il luogo. Poi possiamo dire quello che più ci aggrada, che Adriano non sa trattenere la sua debordante personalità, regalando sprazzi del suo ipertrofico ego talora apprezzati talora sopportati con malcelata sufficienza, che il locale è in qualche modo caotico, non certo realizzato dall’ultimo architetto di grido, sicuramente non «trendy». Che i sapori sono per lo più netti, decisi, che Simone, sommelier non sommelier con la passione per la Musica, ha lunghi capelli e non meno ampia conoscenza di ciò che vi suggerisce, unita a un’istintività nei confronti del vino che mi ha stupito più di una volta.
Ed è del tutto inutile che mi soffermi su altri particolari, positivi o negativi che siano, quando il bilancio mi suggerisce di tornare altre volte sicuro che qualcosa di, per me, buono ci sarà, sia un dolce, semplice, diretto, un assaggio dell’ultima intuizione, un cestino di pane con all’interno «L’insalata del pastore». E gli eventuali errori, le eventuali attese, eccezione non norma, saranno non dico i benvenuti ma incidenti da collocare in un più ampio tragitto capace di regalare piacevolezza e concretezza. Non poco di questi tempi, più che sufficiente per augurare al duo lunga, comune, vita attorno ai fornelli.
Le immagini sono cortesia di Nik Barte