La riscossa del Quinto Quarto

Cena didattica

«Uno continua a lavorare in cucina perché i cuochi sono come il quinto quarto, quell’ossimoro di macelleria che significa scarto e inesistenza, l’unica parte dell’animale che dice se sai cucinare o no, se sai vivere o no. È facile vivere da filetto, da scamone. Solo un artista sa vivere da trippa, cervella, intestino, milza, o da coglione.»
Leonardo Lucarelli da Carne Trita

Con questo scritto sto contravvenendo a un impegno estorto, ciò mi da in qualche modo facoltà di farlo, da una bella persona che nel luogo fra poco descritto opera. Altro non saprete di lui, se non che porta lo stesso nome del Doctor Gratiae e che è responsabile della mia – nostra, ero in compagnia della figura che da vent’anni ormai mi sopporta – presenza negli spazi che l’I.I.S.S. Andrea Mantegna dedica al progetto delle Cene Didattiche, momenti in cui gli allievi dell’Istituto si confrontano con l’esterno, con quelli che saranno i potenziali interlocutori di una vita.

Non è un caso la scelta di questa serata, non lo era la precedente, perché tema e titolo di entrambe è stato il «Quinto Quarto», ossia ciò che rimane dopo che i pregiati quarti posteriori del bovino, cessino di leggere adepti di altre scelte alimentari e di vita, e i comunque accettati quarti anteriori sono stati utilizzati. Interiora o frattaglie, testa, lingua, coda… Sono i protagonisti di questo mondo sempre meno abitato, complici le mutate abitudini alimentari sotto la spinta di fretta e disinteresse con l’aggiunta della «mucca pazza» malattia che dagli anni ’90 sino alla fine del 2005 comportò restrizioni nel consumo di alcuni tagli di carne, contribuendo alla progressiva diminuzione del loro consumo. Pleonastico il dire, i geni argentini fanno indubbiamente la loro parte, che a me il Quinto Quarto piace assai e che di fatto si hanno sempre meno occasioni di trovarlo nella ristorazione quotidiana, del resto chi si fida a mettere in carta un rognone, del fegato, delle cervella quando le immagini dei visi stravolti d’innocenti pargoli, con le manine adese ai non molti banchi di macelleria oggi esistenti, dopo aver chiesto cosa fossero quelle «cose» poggiate nel vassoio a disgustate mamme e ottenuto risposte del tipo «È fegato, è cuore, lascia stare» sono ormai impresse in tutti noi? (Solitamente il tutto è accompagnato da un «che schifo…», ma lasciamo perdere).

Lasciamo perdere davvero e tuffiamoci, grazie Prof. Palazzo per quest’ennesimo omaggio a una cucina che rischiamo di perdere, in questo susseguirsi di proposte descritte in un bresciano forse più divertito e divertente che canonico.

Aperitif: Brüdì s’ciàrit de l’aur long del toro, un consommé ristretto di coda di bue di colore intenso e di sapore celestiale che apriva felicemente lo stomaco alle imprese seguenti, preparazione da tempi ormai ignoti alla maggior parte di noi. Bastuncìn infilac afrodisiaci, piccoli spiedini che alternavano una lumaca (unica deroga) a del morbido e profumato rognoncino, la decenza ha fermato più volte la mia mano. Tanti, troppi, bocconcini di cervella panate àla milanès, identica fine per qualche lumaca scampata agli spiedini.

Poi Tàt per comincià: Figàt àla gondulina con Le gröste de nas salade e dritte dall’aperitivo i Tartellec àla finansiera, fegato alla veneziana con sfoglie croccanti di polenta e piccole tartellette ripiene di finanziera, preparazione piemontese carica d’anni e di storia quest’ultima, povera/ricca a pescare tra frattaglie di pollo e bovine.

Per continuà: Risot àl safrà e midol cavernoso cò anime e melle de aàca, l’apoteosi per uno dei piatti che ho, che abbiamo, più apprezzato (ma le cervelline panate dell’inizio…), un risotto alla milanese giustamente marcato dal midollo di bue e con piccoli pezzi di animelle di vitello a guarnirlo/completarlo, con le labbra sempre più unte a cercare la successiva forchettata.

L’è mia finida: Pei de stomac àla bela cuntadina (gioeust en pitol), una cucchiaiata di trippa asciutta/brodosa con un accenno misurato di piccante (le «pelli» dello stomaco) e la Lengua de vedel cò rifrullo en boca servita con Spuma bavosa de patatina, ottima lingua di vitello brasata accompagnata da una ricca purea di patate. Alcuni bis hanno reso l’impresa importante se non omerica.

Sapori golosi, consistenze, senza l’ausilio di artifizi, dimenticate, per una cena che è tuffo in una tradizione che perdere completamente sarebbe barbarie. Un invito aperto, solare, a farcene in qualche modo testimoni.

Impossibile non citare i ragazzi che hanno servito, qualche capibile incertezza, tanti sorrisi, un poco di tensione sotto lo sguardo apparentemente distratto ma sempre  presente del Doctor Gratiae, un giusto omaggio tributato a tutti coloro che sono stati gli artefici della serata con alcune parole del prof. Giovanni Rosa, Dirigente Scolastico del Mantegna che da tre anni, lui proveniente da uno degl’istituti simbolo dell’istruzione bresciana – Il Liceo Classico Arnaldo – sta via via compenetrandosi nel mondo un poco folle, le parole sono dello chef Palazzo prossimo al commiato, della cucina. Grazie a tutti loro, se più persone usassero un poco del tempo per conoscere queste realtà forse avremmo più rispetto, più attenzione, per chi sta in sala e cucina, pronto a soddisfare i nostri bisogni e ad alimentare i nostri piaceri e, forse, meno re-censori online.

La cena didattica «Quinto Quarto» è stata realizzata dagli alunni della classe 1A Serale coordinati dai docenti proff. Stradaioli, Palazzo, Farace, Martinelli dell’IISS A.Mantegna di Via Fura. La stagione delle cene didattiche volge al termine per quest’anno ma lascio per futuri incontri un indirizzo e-mail di riferimento: cena.mantegna@gmail.com

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