Niente richiami cinefili per questa occasione, i magnifici tre del titolo sono altrettanti vini bresciani, lo dico con malcelato orgoglio visti anche alcune mie recenti, civili, discussioni sulla cucina bresciana, giudicata sorta di Cenerentola nel panorama delle tante cucine che compongono il variegato mosaico di quella nazionale. Pleonastico il dire che il mio pensiero, supportato dall’attuale proposta gastronomica della nostra provincia ma anche dalla testimonianza di figure come Marino Marini e il suo La Cucina Bresciana, preceduta dalla presentazione dell’allora curatore della collana Cucine del territorio Marco Guarnaschelli Gotti «… un mondo di sapori antichi e attuali, un tesoro di cultura gastronomica di cui Marino Marini ci spiega anche la storia, perché la sorpresa non sia eccessiva». E cosa commenta a tale proposito il Marini? «La nostra cucina è ritenuta dai più una cucina “minore”, una cucina di “frontiera” sempre assimilabile a quella della provincia vicina, … Il parere oggi più diffuso è che non esista una cucina bresciana. Molti libri e articoli di giornali e riviste sostengono questa tesi, presentando ai lettori una cucina … povera di piatti come varietà e numero: … si può considerare la provincia bresciana come un grande mosaico composto da varie tradizioni alimentari… »
Mosaico, in questo termine si può bene riassumere i tratti del nostro territorio, tante tessere diverse che unite formano complesso e dettagliato insieme. Ed è a tale proposito emblematico che la Guida Vini d’Italia 2019 del Gambero Rosso veda nella categoria che è summa dei vini premiati ben due presenze bresciane: Bollicine dell’Anno – Franciacorta Nature 61 ’11, Guido Berlucchi & C. e Rosato dell’Anno – Valtènesi Chiaretto Molmenti ’15, Costaripa. Coppia alla quale si aggiunge il Tre Bicchieri – Gobbio ’16, Noventa. Ecco dichiarati i “magnifici tre”, ecco riapparire il malcelato orgoglio. Vicina sensazione, se non eguale, deve averla provata Alessandra Noventa che rappresenta, con il marito Cristian Campana, la nuova generazione della famiglia simbolo del Botticino DOC (con l’indubbio apporto di Carlo Ferrini), giusto ricambio per papà Pierangelo, e in collaborazione dell’inossidabile Maurizio Rossi – La Villetta di Palazzolo – ha organizzato una laica celebrazione per questo tridente vitivinicolo, garantendosi la presenza di Arturo Ziliani e Mattia Vezzola, come dire una sostanziosa parte della storia enologica bresciana.
S’inizia con il Valtènesi Chiaretto Molmenti ’15 di Costaripa, vino sorprendente, che ben rappresenta cosa può essere, come può divenire il brescianissimo Chiaretto caratterizzato dal vitigno Groppello. «Facciamo Chiaretto in Valtènesi dal 1991 ma solo dal 2012 ritengo di realizzare un buon prodotto: fare rosati validi non è facile, serve grande competenza unita a tanta e costosa tecnologia, di certo un vino che non s’improvvisa», come suo costume non ha mezzi termini Mattia Vezzola, il suo proposito quello di «scardinare» l’idea comune del rosato come vino «che non dura nel tempo», altro punto fermo è per lui il concetto di «Vocazione: in Italia esistono due territori dove si può potenzialmente realizzare un grande vino rosato, la Valtènesi e parte della Puglia. Un territorio si può dire vocato quando 9 volte su 10 sono potenzialmente nelle condizioni di fare un ottimo vino». E il Molmenti ’15, e chi li ha assaggiati magnifica le annate precedenti, lo è, elegante, verticale, persistente, di un colore tenue come oggi si richiede: «Abbiamo voluto dargli carattere, personalità e longevità». Un vino che può durare nel tempo maturando nel tempo e a cui un paio di gradi di temperatura in meno avrebbero forse giovato per esprimere appieno una bevibilità non comune. Con questo vino il binomio costituito da un efficace Vitello tonnato cotto arrosto – cottura che ne preserva il sapore – con la salsa che non soverchia in quantità la carne e si permette di essere piacevolmente sapida e la Lingua di vitello con giardiniera nostrana
Si continua con il Berlucchi ’61 Nature 2011 Franciacorta Millesimato DOCG, un Metodo Classico da uve Chardonnay (70%) e Pinot Nero (30%) dai vigneti Arzelle, Rovere, San Carlo e Ragnoli. «A mio avviso sta nel Non Dosato il futuro del Franciacorta, più che in altri dosaggi e tipologie: qui si realizza il trasferire nel bicchiere l’essenza del territorio», convinta e precisa l’opinione di quale possa essere l’ideale cammino della denominazione per Arturo Ziliani che aggiunge come sia il compromesso ragionato tra acidità e maturità delle uve, l’ideale traguardo da raggiungere e prosegue «La base, le basi, per ottenere un grande Non Dosato devono essere il frutto di una scelta iniziale, non successiva…». E la cura riservata a questo vino la si percepisce nell’apparente paradosso di un residuo zuccherino bassissimo unito ad una sensazione di rotondità, con l’assenza di lame che colpiscono il palato: «Ecco. Questo è ciò che perseguiamo: è il grande equilibrio tra le varie componenti che ci permette di ottenere questo risultato». Al naso spiccano note di agrumi canditi e di crosta di pan brioche. Con il ’61 Nature la proposta della Villetta vede la Lasagna di verdure con fonduta di Grana Padano e pesto, ottimamente realizzate da Grazia Rossi. La fine bolla del ’61 pulisce con efficacia la suadente Lasagna e i suoi profumi bene reggono l’insieme pesto e note vegetali.
Ho buona memoria di non poche annate del Gobbio di Noventa, cuspide della loro produzione e con tutta sincerità devo ammettere che non poche volte ho preferito i tratti meno polposi e concentrati del Pià della Tesa, pur riconoscendo quanta materia era contenuta nel bicchiere del Gobbio, m’incuteva un poco di timoroso rispetto la sua grande struttura, i suoi profumi di confettura, tabacco, cioccolato, spezie… Barbera e Sangiovese per lo più con una percentuale di Marzemino sottoposto ad appassimento e una piccola quantità di Schiava Gentile. Ma da un paio di anni a questa parte la musica, perché comunque di musica si trattava, ha cambiato registro pur mantenendo le note, i sentori di base. Il Gobbio, figlio del marmo e di vecchie vigne, è divenuto più verticale, ora gioca sulle sottrazioni (via gli appassimenti, le lunghe macerazioni, i lunghi passaggi in botte), impegno più arduo e sottile, sull’eleganza – tratto che accomuna di là dalle tante diversità i magnifici tre -, non cedendo certo sul piano della durata: bere il Gobbio ’16, anche se già piacevole, trasmette l’inquietante sensazione di commettere un infanticidio, di sottrarre, anche una sola bottiglia, all’opera del tempo che su tanto lavoro non può che aggiungere felicemente il suo. Con il Gobbio un classicissimo Manzo all’olio con polenta seguito da due splendidi formaggi bufalini del Caseificio Quattro Portoni: qui l’opposto del primo caso, qualche grado in più di temperatura avrebbe permesso di apprezzarne appieno le caratteristiche.
Serata piacevolissima, all’insegna della varietà di una cucina e di una proposta enologica spesso misconosciute dagli stessi bresciani, magari pronti a sdilinquirsi per cibi e vini foresti, apprezzabilissimi in tante occasioni ma non per questo necessariamente e sempre più interessanti di locali proposte, proposte che meriterebbero quanto meno di essere conosciute: un sentito grazie ad Alessandra e Maurizio per la loro iniziativa.