L’immodificabile composizione della pizza

De gustibus non est disputandum – Frase latina di origine non classica

 

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Sfido pressoché chiunque a trovare antipatica l’allora ventottenne Meg Ryan (Sally Albright) di Harry ti presento Sally, anche quando era protagonista d’improbabili ordinazioni al fast food di turno. Ma, ahimè, la maggior parte di noi non ha l’allora suo fascino e quando al ristorante, raramente, o in pizzeria, con molta maggiore frequenza, ci si avventura in richieste di altrettanto improbabili cambi o alla formulazione integrale di nuove «ricette» si corre seriamente il rischio di risultare poco simpatici al ristoratore o pizzaiolo di turno. Ma cambiare è lecito?

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Dipende, mia modesta opinione, da molteplici fattori, proverò ad elencarne alcuni. Se in una lista comprendente 20-30 pizze e più – concentrerò l’attenzione su questa tipologia di piatto – non ne troviamo una che ci aggrada beh, forse è il caso d’iniziare a porci qualche domanda… Se poi sempre nella suddetta lista esiste un ristretto elenco di proposte recante in testa la dicitura «Le seguenti pizze non sono modificabili» e noi insistiamo per avere comunque una sostituzione… Le domande si moltiplicano. Attenzione, non sto parlando di un singolo ingrediente come, esempio, la foglia di basilico messa a fine cottura, magari da piccoli si è incorsi in una disavventura con questa pianta aromatica e non ci si è più ripresi, quanto a sostituzioni  o aggiunte davvero bizzarre, oppure di elementi che da sempre caratterizzano quella ricetta: una Marinara senza aglio, una Pugliese senza cipolla… L’aggiunta di panna, mais, patatine fritte e würstel ai limiti del commestibile – la chiamano Americana – sono ingredienti al limite della condanna penale. Oppure no?

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Quello che mi lascia personalmente perplesso, sono, purtroppo, i modi, modi che si evincono sia dalla formulazione della richiesta che dalle reazioni a un, si spera, garbato appunto o rifiuto da parte dell’interlocutore di turno. Ritengo che un piccolo cambiamento espresso con un sorriso: «Mi scusi, potrebbe omettere il grana finale?» su una pizza che non reca alcun avvertimento sul menu possa anche essere esaudito, un secco «Mi porti una Diavola ma niente piccante, non lo sopporto» già porta a un probabile conflitto. Immagino poi l’attesa della cameriera o del cameriere in sala mentre il cliente guarda per mezz’ora la lista, oppure la sposta senza nemmeno degnarla di un’occhiata e dice «Voglio una pizza, calamari, doppia mozzarella e crudo», mostrandosi subito stizzito se si fa presente, sempre con il garbo di poco fa, che quella pizza non è nemmeno contemplata…

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«Ma io la pago e la voglio! La fanno in tutte le pizzerie che frequento!». Se è per quello conosco locali dove esaudiscono richieste come una Lemonsoda con la liquirizia o un Cuba Libre pestato con zucchero di canna e rum scuro… (Mi scusi posso versare direttamente nel bicchiere una partita acquistata per errore di bustine di zucchero?) Cosa fare? Dire, sempre sorridendo, guardi io non glielo faccio perché è un attentato al gusto e il secondo anche al suo metabolismo? Farglieli trattenendo a stento un’espressione disgustata? Farglielo tanto, chissenefrega, lo beve lei/lui di certo non io? Sui gusti non si può discutere, lo dice la citazione iniziale, frutto di un’antica saggezza. Sempre? Ai corsi sommelier dell’AIS, millanta anni fa, quando li frequentavo io giusto per capirci, insegnavano, tra le tante cose, le «negazioni»: niente vino con il cioccolato (esistono poi particolarissime deroghe), niente vino con insalate condite con l’aceto o con verdure sottaceto, niente vino con i carciofi (specie se crudi), niente vino con i gelati… Sono soggettive queste regole o hanno dei precisi fondamenti di obiettività?

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Chi di noi ordina al ristorante una Carbonara senza uova, una Pasta alle vongole con la panna? Eppure in pizzeria molti lo fanno: «Abbassate le arie, state facendo una pizza! Cosa vi credete di essere?», pizza cenerentola insomma, e non so quanto reggano le considerazioni sul piatto «povero», povero non significa fatto male, oggigiorno neppure con ingredienti industriali al risparmio (ne esistono di buoni e di più che buoni). La pizza come ogni cibo dell’uomo ha sua precisa dignità, suoi equilibri, sue esigenze, merita rispetto come rispetto meritano tutte le persone che concorrono alla sua riuscita: il pizzaiolo che studia gl’impasti, fa prove su prove, sceglie gl’ingredienti giusti per valorizzare quel disco dorato, i produttori, piccoli e meno piccoli, che realizzano o coltivano quel formaggio, quel salume, quell’ortaggio…

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Provate, siate curiosi, affidatevi, cambiate pizzeria se quella scelta non vi soddisfa, ma siate onesti con voi stessi e con chi lavora per soddisfarvi. Liberi naturalmente d’indirizzare i vostri passi a chi ritiene corretto seguirvi comunque, anche sugli abbinamenti meno felici per sapori, consistenze… Solo un consiglio: non «vendicatevi» del mancato accoglimento delle vostre richieste utilizzando portali che vivono delle vostre parole, non servono a voi, credetemi, non servono a chi è seriamente convinto di fare nel modo migliore il suo lavoro. Esprimete il vostro dissenso non frequentando più quel luogo: alla fine farete felici più persone, voi compresi naturalmente, credetemi.

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Nessuna delle pizze presenti in fotografia è italiana, mentre lo sono le recensioni che le intercalano, dedicate a pizzerie che fanno parte dell’Alleanza Pizzaioli Slow Food o ai vertici regionali e nazionali delle rispettive categorie.

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