Il cibo come rito: La Pampa a Piancamuno

«Del asado se habla mucho, cada uno tiene su secreto inconfensable o algún dato heredado del padre. Aunque se publiquen libros, y más libros, y más libros de cómo hacer una buena carne, ningún texto parece superar la intuición del experto asador que cada argentino lleva adentro.»1
Juan Pablo Meneses

«La parrilla oficiaba de alquimista mientras los hombres charlaban alegres y el vino hacía mejores los chistes malos. Aquel día el sol era un ojo de oro que nos miraba con envidia.»2
Roberto Achura

Non è la prima volta che parlo di qualcosa in me radicato nonostante abbia lasciato la mia terra natale – l’Argentina – da bambino, mezzo secolo fa e oltre per dirlo enfaticamente: il tratto ampiamente «carnivoro» della cucina di quella nazione. Il precedente esempio Un saluto a Carlos Batilana, che con un altro connazionale aveva aperto un locale nella prima periferia bresciana. L’occasione è qui decisamente più lieta perché celebra una nascita in questi non certo facili tempi per la ristorazione, quella, avvenuta poco più di un mese fa, de La Pampa, «Griglieria» Argentina di Solo Carne come recita l’insegna. Lei, perché di una lei si tratta, è Georgina Salerni, il cognome a dire come siano stretti i legami tra Italia e Argentina, del resto definita da Borges come il più europeo dei paesi sudamericani.

Da circa diciotto anni in Italia, Georgina ha deciso di coronare un suo sogno (con l’aiuto del Gran Libro de la Cocina Argentina regalatole dal nonno materno), anche se non siamo certo nel campo dell’improvvisazione ché lei ha cucinato in più realtà della ristorazione, quello di far conoscere uno dei cibi simbolo argentini: El Asado, che come tutti i cibi simbolo trascende la dimensione di piatto, di mero nutrimento, per diventare di volta in volta momento per celebrare l’amicizia, la convivialità, lo spirito di un popolo, la sua storia. Carne cotta sulla parrilla sopra un letto di braci, il carbone rigorosamente di Quebracho, per mantenere a lungo la giusta temperatura, proviene dall’Argentina, come del resto tutte le carni senza osso, quelle con l’osso non sono esportabili e qui si è deciso di utilizzare una buona carne italiana di Scottona – non razza bovina ma tipologia indicante animale femmina con massimo 15/16 mesi che non ha mai figliato – tagliata però secondo uso e costume argentino ossia perpendicolarmente alle costole per dare uno dei più classici tagli dell’asado: el asado de tira.

A fargli compagnia, entrecote, matambre (sempre il taglio), vacio, cuadril… tra le carni, poi chorizos e morsilla El Asado viene preceduto da una Empanada de carne – giustamente fritta aggiungo io – e una di Choclo, per quest’ultima, non avendo a disposizione la varietà dedicata, la nostra cuoca ammorbidisce e ingentilisce il gusto del mais qui disponibile (questo il significato della parola choclo) aggiungendovi un poco di besciamella. Ed è al primo morso della succosa Empanada che vengo catapultato in un non tempo di ricordi e sensazioni – anche se per venire incontro ai gusti italiani Georgina non aggiunge l’uva passa e la punta di zucchero abituali – che mi fanno presagire una buona esperienza.

Come già detto in passato anche questa non è una recensione, non ne possiede l’anonimato, il distacco… Ma un racconto, la condivisione di un momento trascorso tra modalità di cottura un poco diverse dalle nostre come lo sono i tagli, la carne di Angus è mediamente più saporita della nostra e la tradizione la vuole un poco più cotta di quanto, ad esempio, da me prediletto. La cuoca, già eccezione per un argentino perché l’Asado, non maschilismo ma consuetudine, è piatto che cucinano gli uomini, come del resto lo spiedo bresciano… Diminuisce leggermente i tempi per cercare un filo di mediazione, la prenotazione è fortemente raccomandata se non obbligatoria, questo per consentire il calcolo dei giusti tempi e poter offrire l’Asado appena tolto dalla parrilla, così come deve essere: permettetemi un altro analogismo, anche lo spiedo non aspetta…

Patate fritte, patate al forno, verdure alla griglia, sono il contorno, mi aspetto anche l’immancabile insalata: lattuga, pomodori, cipolle… E accanto al braciere posto sulla tavola salsa verde, chimichurri e salsa criolla. In abbinamento qualche vino italiano, di cui non mi occuperò, qualche vino tinto argentino economicamente non troppo impegnativo (a base Malbec, Syrah…) servito fresco – campane, campanelle, sirene e applausi – in queste sere d’estate, ossia attorno ai 14-15°C: qualche intenditore di vini come esperto di calcio nonché di questi tempi virologo, immunologo ed epidemiologo, storcerà il naso ma io lo invito a bere il primo bicchiere a quella temperatura con l’Empanada per poi, già il vino avrà preso 1-2°C, affrontare la carne. Sono disponibili anche vini rosati, bianchi e qualche spumante. Per chi prediligesse la birra, altro encomio, una selezione delle birre di Darf, distante in linea d’aria ben pochi chilometri.

Confesserò il piacere provato nell’addentare carni che offrono ottimi sapori e una consistenza un poco più sostenuta rispetto a quelle che mediamente affrontiamo, ma l’Entrecote è tenerissima – non parlo ovviamente degli orridi tagli «tenerizzati» che qualcuno ama e che al sottoscritto danno la sensazione di «vuoto» sotto i denti -, il secondo flash all’assaggio della Morsilla, speziata al punto giusto, ma validi anche i Chorizos di puro suino cotti ovviamente interi per non disperderne i succhi (chissà cosa ne pensano i camuni abituati ai loro strinù di carni miste). E non abbiamo, ormai ampiamente sazi, provato neppure uno dei dolci da lei preparati: Panqueque de manzana – Crepe di mela – servito con il gelato, Flan con dulce de leche – Creme Caramel con l’immancabile Crema Mou, Budin de pan – Budino di pane – e Arroz con leche – Riso con latte -, ma a questo punto già mi fido della mano di Georgina. Servizio assolutamente cortese.

Gradevole lo spazio esterno a cui si accede tramite una sorta di passerella, ben distanziati i tavoli. Che dire se non celebrare il coraggio della cuoca/titolare, specie di questi tempi, che già pensa a come strutturare l’offerta nei prossimi mesi. Per tutto agosto ci sarà ancora il menu promozionale che propone, preceduto dalle due empanadas, un assaggio più che abbondante di tutti i tagli disponibili a un costo quasi commovente. Che dire se non augurarle un riscontro proporzionale all’impegno, al senso del suo fare: da Brescia sono circa 40 minuti di macchina, ma una serata, apre solo alla sera dal mercoledì alla domenica, ci può assolutamente stare.
Sono di parte? Non potrei assolutamente non esserlo ma ciò che ho scritto è, come spero sempre, ampiamente verificabile.

Dovremmo anche noi ritrovare, non dica sia scomparsa, questa dimensione, perché la cucina italiana, quella bresciana, ne ha di piatti simbolo, di preparazioni rito, nonché il piacere di un condividere attento ma scevro di rimostranze che con l’effettiva validità del cibo hanno poco o nulla da spartire. Chissà che il buon esempio sia contagioso.

1«Del “asado” si parla molto, ognuno ha il suo inconfessabile segreto o dei dati ereditati dal padre. Anche se si pubblicano libri e ancora libri, e ancora libri sul come fare una buona carne, nessun testo pare superare l’intuizione dell’esperto “asador” che ogni argentino porta dentro»

2«La griglia officiava da alchimista mentre gli uomini chiacchieravano allegri e il vino rendeva migliori le pessime battute. Quel giorno il sole era un occhio d’oro che ci guardava con invidia.»

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