Il cibo – forse – non è solo merce

Titolo banale direte voi, interrotto se non salvato da quel forse con cui cercherò di chiudere il post. Ma il cibo nel suo percorso passa, semplificando, dalla produzione alla distribuzione ed è in quest’ultimo passaggio strettamente legato al consumo che corre come in poche altre fasi di esserlo integralmente. Mèrce: s. f. [lat. merx mercis]. – 1. a. Ogni bene economico, in genere prodotto del lavoro umano, in quanto oggetto di contrattazione e di scambio… Recita il vocabolario Treccani online. In questi giorni attorno all’Assunta, al ferragosto come dicono i più, mi sono particolarmente confrontato con una delle icone del nostro tempo, la GDO – Grande Distribuzione Organizzata – che nel sito Glossario di Marketing e comunicazione viene così definita:

Tipologia di vendita al dettaglio di prodotti di largo consumo, realizzata tramite una serie di punti vendita gestiti a libero servizio, organizzati su grandi superfici e, generalmente, aderenti ad un’organizzazione o ad un gruppo che gestisce più punti vendita contrassegnati da una o più insegne commerciali comuni…

Inconfutabile, l’incontro, non è certo la prima volta che entro in una grande superficie, in un tempo segnato da inaspettati eventi mi ha spinto ad analizzare con maggiore attenzione, così che la mente si distraesse un poco, l’offerta e il confronto con buona parte dei cosiddetti «negozi tradizionali» è stato impietoso. Forse non il classico cappotto – sei zero sei zero – ma ci siamo andati paurosamente vicini. Bella forza, sempre la saggezza popolare sopra citata, ti sei scelto il più moderno e recente esempio reperibile a Brescia… Sì, certo, assolutamente vero, ma dimostrerò fatti alla mano che non sempre sarebbe stato necessario. Comunque sia le mie riflessioni hanno avuto come principale campo di analisi e ispirazione l’ultimo punto vendita a marchio Esselunga aperto nella nostra città, punto vendita che dista, in termini di tempo, poco più di cinque minuti dalla mia abitazione.

Una delle prime, dolorose, prese di coscienza, se ne succederanno diverse, il reparto del pane e dei prodotti da forno. Varietà, qualità, che si esprimono nei piccoli e nei grandi formati, pizze, pizze alla romana, focacce, anche imbottite… E poco distante la linea di produzione, in grado di far impallidire pressoché tutte le fornerie cittadine. Non sto dicendo che quel pane, limitiamoci a questa categoria, sia il più buono di Brescia, ho sempre sostenuto e non cambio certo idea, che nella nostra città ci sono dei buoni, ottimi, forni e dei grandi, grandissimi fornai, ma arrendiamoci al fatto che quella struttura, sicuramente allestita con la consulenza di qualcuno che di pane se ne intende eccome, offre un’alternativa assolutamente degna di nota alla grande maggioranza dei negozi tradizionali. Fatevene una ragione.

Il doloroso bagno d’umiltà, mio, continua con la selezione delle bibite, con quella dei distillati: ci facciamo un ancora sull’onda Gin Tonic (Magari per accompagnare ereticamente i più che decorosi tramezzini a marchio proprio)? Ma certo, ecco Fever Tree nelle varianti Premium Indian e Mediterranean, da aggiungere a una scelta non certo enciclopedica ma sicuramente sufficiente per un utente medio di gin: Tanqueray Ten, Rangpur, Sevilla, oppure Hendrick’s o uno Star of Bombay o ancora un esotico, giapponese, Roku… Ci siamo capiti? Evitate la trovata del Gin Tonic già preparato almeno per due motivi, il solo provato è deludente, con un tono amaro che sovrasta la miscela e scarsa corrispondenza naso/bocca, come primo motivo, il privarsi del piacere di prepararselo come secondo.

Salterò per non tediarvi altri esempi, ma l’utente medio avrebbe di che spaziare nell’enoteca (perdoniamo qualche cartellino errato), nelle tante salse e condimenti, anche freschi, nei reparti dedicati ai latticini, non parlo dei formaggi (almeno quelli…) o dei salumi (anche se il Parma acquistato era più che valido), ma ecco, inutile girare il coltello nella piaga, le piccole botteghe, quelle sopravvissute ne escono, tranne sparuti esempi, con le ossa rotte. Credete che affermarlo mi rende felice? No, assolutamente no, ma da sempre affermo ciò che vedo, assaggio, intendo, senza voler ferire ad ogni costo ché non parlerò dei punti vendita aperti 24 ore, o delle insegne che sempre più s’interessano e propongono, anche se non sempre in maniera coerente ed efficace, ai prodotti locali, con scelte comunque che fanno loro onore.

Che fare? Potrei tranquillamente chiudere il post e salutarvi ma non mi parrebbe giusto così proseguo con un’altra affermazione: le botteghe devono continuare la loro opera, solo che non tutte, devono continuare quelle che assicurano un servizio ai piccoli comuni delle nostre valli, ne esistono sapete? Devono continuare quelle che della continua ricerca, della selezione esasperata, della conoscenza di ogni referenza posta nel banco, sugli scaffali… Hanno fatto quasi missione. Qui troverete quei salumi che cercavate da sempre o non avete mai conosciuto, qui i formaggi, mi ripeto, delle nostre valli e di altri luoghi, piccoli/grandi capolavori del lavoro dell’uomo, della cultura secolare o dell’intuizione recente. Qui quei vini ignorati dai buyer per ragioni di reperibilità, di logistica, di prezzo (il discorso è complesso e non certo affrontabile in poche righe), qui quelle conserve che non sono ripiego o strumento per soddisfare la nostra sempre crescente fretta ma genialità umana nel creare capolavori che sfuggono alla naturale deperibilità del cibo. Qui sta in parte, sempre questione di scelte, il cibo non visto unicamente come merce.

Abbiamo finito? No certo, abbiamo l’online, che su alcune categorie merceologiche ha fatto passi da gigante e non conosce alcuni dei limiti della GDO: bottiglie rare, piccole produzioni, chicche da passaparola tra adepti… Troviamo quasi tutto nei siti specializzati. Im questo caso a creare sacche di resistenza è la mancanza del rapporto umano, il confrontarsi con un proprio simile che guardandoci negli occhi (le mascherine quelli non li coprono), sentendo il nostro dire, ascoltando i nostri gusti, riesce ancora a stupirci, emozione a mio avviso più importante e preziosa del rassicurarci.
E per correttezza, anche se qui serve una riorganizzazione della proposta, è doveroso citare i mercati contadini, di là da sigle e organizzazione che mi hanno tediato, almeno alcune, con i loro diktat e con le loro contraddizioni, una modalità distributiva che potenzialmente potrebbe essere una delle poche, serie e valide alternative proponibili.

Attenzione, mio intento non è demonizzare a tutti i costi l’e-commerce o la GDO, quanto lanciare un sasso nello stagno, condividere una riflessione, contribuire, in misura omeopatica, a fare sì che nell’immediato futuro ci sia spazio per differenti modalità distributive, ciascuna con un proprio ruolo – prendo atto che la tendenza delle grandi, enormi, realtà delle vendite online è quella di cannibalizzare pressoché ogni cosa, ma confido, mi illudo forse, che le persone con il loro comportamento mantengano in vita la pluralità, per me indispensabile presenza nell’umana società. Botteghe iper-specializzate, GDO intelligente, online che assolva in buona parte, se non principalmente, alcune specifiche esigenze, mercati di vendita diretta che siano realmente tali, ché di avere quattro padroni in grado di dirmi cosa devo mangiare, con l’aggiunta del come e quando, poco o nulla mi garba.

L’avevo promesso: qua e là affiorano, timidamente lo so, alcune basi, alcuni pilastri, qualche traccia, su cui quel «forse» del titolo potrebbe prendere forza, innalzarsi. Non certo però se la distribuzione classica o tradizionale che dir si voglia, continua a scimmiottare la GDO cercando d’imitarla in scelte e strategie assolutamente non alla sua portata, ignorando o dimenticando volutamente l’importanza fondamentale della comunicazione, dello studio, del rapporto interpersonale (anche qui le mascherine poco o nulla contano), del proporre soluzioni che per più ragioni sono questa volta non alla portata delle grandi superfici.
Ma il tempo stringe. Sempre più.

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