Per la seconda volta, nell’arco temporale di pochi giorni, mi rifaccio a un post precedente, questa volta integralmente opera del sottoscritto, aprile 2011 con il titolo Cibo e vino 2.0, nove anni, tanti, tantissimi, in un’epoca dai cambiamenti, voluti e no, sempre più rapidi. Ne riporto i passi iniziali:
Non riesco a trovare altro sinonimo al verbo vivere che comunicare. Luigi Veronelli
Per chi ha poca dimestichezza con il Web confrontarsi con articoli e dibattiti che associano a quest’oscuro termine ancor più oscure cifre è indubbiamente frustrante, da qui reazioni di rigetto, indifferenza, malcelato odio. Eppure da quest’universo fatto da termini di non sempre facile comprensione può venire per il mondo dell’agroalimentare, della ristorazione un aiuto concreto e, almeno in parte, a costi decisamente contenuti rispetto ad altre modalità di comunicazione. Ho citato Luigi Veronelli non solo perché mi pareva assolutamente efficace quella sua lama di pensiero, ma per l’atteggiamento di grande apertura e altrettanta speranza che ricordo in alcuni suoi scritti a proposito dei nuovi media. Pensava che grazie alla relativa accessibilità della rete – il Web di prima – anche piccole realtà sarebbero state in grado di far conoscere i loro prodotti, e la filosofia che ne stava alla base, anche a grande distanza, senza dover necessariamente dipendere da costosi e talora fuorvianti meccanismi esterni. Dopo qualche anno pare evidente che se quella parte di Internet costituita da un’interfaccia grafica e da un linguaggio ipertestuale ha indubbiamente mostrato le sue notevoli potenzialità, tanto cammino resta ancora da percorrere, specie nell’ambito di mio/nostro interesse. Ci si affida ancora al primo gradino del Web, quell’1.0 raramente menzionato ed essenzialmente rappresentato dai siti statici, insieme di elementi grafici e di testo, qualche collegamento ad affiorare nell’uniformità del tutto. Sorta di vetrine con scarsissime possibilità d’interazione e dialogo solitamente affidato a un indirizzo di posta elettronica, peraltro poco controllato per quanto possono attestare mie personali esperienze (o se preferite l’assenza delle stesse). Altra pecca comune, imperdonabile per chi naviga abitualmente tra i link, la polvere virtualmente depositata su siti mai aggiornati: assicuro che poche cose sono più desolanti che trovare annunci di eventi, di “news”, fermi a qualche anno prima. Eppure, se dovessimo giudicare dall’abbondanza di questi reperti, pare che molti o non se ne accorgano o pongano talmente poco interesse a questa modalità di comunicazione da ignorarla bellamente. Per non parlare di alcuni siti istituzionali costati follie e prematuramente scomparsi …

Ho trascritto integralmente, anche nella formattazione, quanto espresso in quel lontano periodo, ovviamente anche la piattaforma usata, WordPress, è in gran parte cambiata, io mi sto adattando, poco alla volta, all’utilizzo dell’editor a blocchi, rifiutato al suo apparire. Non sempre, non tutti noi, riusciamo a cogliere, fare propri, tutti gli strumenti che a ritmo continui ci vengono proposti (talvolta imposti, riflettiamoci) ancora prima di esserci abituati a quelli che li hanno appena preceduti. Parlavo di Cibo e vino 2.0 rifacendomi pressoché essenzialmente al web ed ecco che la scansione temporale è già andata avanti: 1.0 – 2.0 – 3.0 – 4.0 … Come in quella occasione non farò dissertazioni tecniche o altro che non sia, almeno minimamente, nelle mie competenze, anche se appare necessario qualche accenno all’evoluzione o, quanto meno, ad alcune sue parti. Questa volta però tenterò di allargare il discorso, perché sono più che mai convinto che il divenire vada per quanto possibile affrontato nella sua interezza, cosa che rende la cosa non certo facile ma sempre più necessaria.

I Social Media, specie alcuni network come Facebook o Instagram sono ormai dominio comune, con alcune differenze ma indubbiamente parte del nostro quotidiano. Basti pensare come la pandemia e i conseguenti provvedimenti abbiano portato all’utilizzo, specie del primo, anche persone di età media sempre più alta, con accelerazioni del processo impensabili sino a poco tempo fa. Stessa cosa per modalità di acquisto alternative alle classiche, il riferimento è ovviamente all’online, o di fruizione di alcuni servizi: entra in scena con incrementi vertiginosi rispetto allo scorso anno il Food Delivery, che nel periodo intercorrente le due «ondate» per usare il linguaggio corrente, ha dimostrato di essere diventato sufficientemente autonomo rispetto all’emergenza… Presa un’abitudine, ché tale la giudico, l’inerzia si dimostra del tutto democratica sia nella sua instaurazione che nel suo mantenimento: numeri, dati, percentuali parlano chiaro e in modo scevro da interpretazioni personali.

Ecco che ci siamo portati in uno dei pochi argomenti sui quali penso di potere scrivere alcune cose: quello della ristorazione, inteso nel senso più allargato del termine, dal fine dining alla pizzeria, dal classico american bar al locale «trasversale». Senza alcuna pretesa di ordine, tanto meno di esaustività: se l’argomento troverà l’interessa di qualcuno, sempre disponibile ad allargarlo, a tornarci e approfondirlo. Qui solo alcuni accenni, alcune direzioni per un Cibo e vino al passo coi tempi, che non solo però sia capace di seguire le tendenze ma talvolta le anticipi o, meglio ancora, le proponga, attingendo da una mole di dati, d’informazioni, mai disponibili come oggigiorno.

Comunicazione, servono ancora altri segnali per capire che le persone, il pubblico, vuole essere informato in anticipo su dettagli fondamentali ma che paiono insignificanti ancora a molte realtà della ristorazione come gli effettivi orari di apertura, le chiusure, volontarie o forzate che siano, la tipologia della proposta, il costo della stessa, la capacità o meno di soddisfare scelte come il vegetarianismo, il veganismo, o di sapere affrontare necessità e situazioni come la celiachia, l’intolleranza al lattosio… Non mi si risponda che molti ci giochino, specie con queste ultime, indubbiamente vero, ma chi di fatto ha questi problemi non può pagare per gl’idioti di turno che, ahimè, sempre esisteranno ma, col tempo, sono destinati a diminuire, si spera considerevolmente. Il rispetto non conosce direzione, perché sia tale deve essere assolutamente condiviso.

Eppure guardando le pagine Facebook di molti locali si trovano post datati settimane, mesi… Oppure buttati giù come se fossero puro obbligo, senza alcuna di quelle informazioni che sono diventate fondamentali, privi di qualsivoglia identità: ecco un’altra parola chiave, I d e n t i t à: perché mai in un panorama affollato di possibilità qualcuno dovrebbe proprio scegliere il mio locale? In virtù di cosa? Di qualche immagine con piatti standardizzati, magari di media/povera riuscita – l’immagine intendo – come se presentare un francobollo, come dimensione, magari sfuocato, fosse difetto del tutto trascurabile e non biglietto da visita che fa pensare a eguale «attenzione» verso il piatto cucinato? Oppure ricche di auto-celebrazione, con cuochi e chef, anzi solo chef in pose apollinee o dionisiache, braccia solitamente incrociate all’altezza del petto (mai sentito parlare del linguaggio del corpo?), menti volitivi… Suvvia apriamoci anche simbolicamente, allarghiamole queste braccia in segno di accoglienza che è poi parte fondamentale di un luogo dove ci si dovrebbe trovare per vivere un rito sociale: la convivialità oltre che il semplice sfamarsi. E di quanto abbiamo bisogno di socialità l’ha sempre detto questo periodo di chiusure a corrente alternata.

Sequenze di immagini che evolvono in video, testi per lo più brevi ma che abbiano preciso significato, che non diano l’idea di un qualcosa messo lì tanto per occupare alcuni pixel, un poco dello spazio virtuale che oggi non si nega ad alcuno. Così per le scelte che stanno alla base del cucinare, ora tutti paiono cucinare con prodotti del territorio, ma chi fa davvero ricerca? Chi si preoccupa di sollecitare, incoraggiare e promuovere le piccole/medie realtà dell’agroalimentare? Chi rinuncia ai comodi, patinati, cataloghi delle varie distribuzioni? Eppure basterebbe la semplice riflessione dell’essere calati in uno specifico contesto, di essere in qualche modo «ospiti» di un territorio per occuparsene, per avere carte dei vini, magari concise, che sappiano di personale scelta, di appartenenza, di contemporaneità, in accordo con la propria linea di cucina. E per dare, concretamente questa sensazione bastano a volte minimi particolari, davvero piccole/grandi scelte: quelle dell’olio, oro verde italiano, quelle delle carni e delle verdure, da allevamenti e coltivazioni estensive e non intensive. Che sappiano anche di rispetto e non solo di convenienza.

Scelte calate nei propri tempi come si diceva, che significa anche prendere atto di quanto l’alimentazione sia importante per l’organismo umano, partendo dal singolo corpo sino ad arrivare alla sua dimensione sociale di antropizzazione, specie in un paese dagli spazi necessariamente e per altri versi, splendidamente ristretti. Alimentazione vista anche come possibile difesa, senza volersi necessariamente calare nei meandri della nutraceutica, verso tutte quelle patologie che trovano in un fisico indebolito, minato, dallo stress, da una cattiva nutrizione, con un sistema immunitario indebolito e provato, più facile accesso. Ogni giorno, specie ora su sollecitazione di un’emergenza, ricercatori scoprono come vitamine, micronutrienti, singole molecole, presenti anche nel cibo e non solo negli integratori – che a volte diventano paradossale necessità figlia di una non appropriata alimentazione – possano essere fondamentali nell’aiutare a prevenire se non combattere patologie anche gravi. Eppure pare ancora esistere una insanabile dicotomia tra buona tavola e salubrità della stessa…

Come premesso, questo post è solo un accenno davvero infinitesimale, tantissimi gli argomenti nemmeno sfiorati come, riferendoci particolarmente al web, l’IoT o Internet delle cose, che ha alla sua base l’interazione, la fusione tra dimensione virtuale e fisica, o l’utilizzo delle Piattaforme Blockchain, delle ricerche sempre più contestualizzate, personalizzate, Taylor Made… Del prendere atto in definitiva che la rivoluzione digitale è già iniziata da tempo e che ignorarlo non è più segno di superiorità ma di una cecità che conduce inevitabilmente alla scomparsa. Che il tutto può essere condotto e vissuto nel più inaspettato e gentile modo possibile, salvaguardando la propria esistenza e quella del nostro mondo, ricordandoci sempre, qualora continuassimo a dimenticarlo, che per il momento il nostro universo è uno solo e s’identifica essenzialmente con il nostro pianeta.

Le immagini provengono per lo più da banche immagini free ad esclusione della sesta e della settima, cortesia di Nik Barte