«Si potrebbe andare tutti quanti ora che è primavera
Vengo anch’io? No, tu no
Con la bella sottobraccio a parlare d’amore
E scoprire che va sempre a finire che piove
E vedere di nascosto l’effetto che fa»
Enzo Jannacci / Dario Fo / Fiorenzo Fiorentini
Chissà da dove prende origine l’italietta dei furbi, chissà da quali eventi, in quali remoti anni. Forse da una storia d’infinite separazioni, da stati, microstati e staterelli, da principi, coronati e papi, da invasioni e passaggi, da guerre e carestie. Non sono certo uno storico e quanto ho imparato durante i miei anni di formazione scolastica non bastano certo per dire qualcosa d’intelligente o illuminante, neppure qualcosa di sensato.

Mi limito così a scuotere il capo e in un certo senso ad arrendermi, nonostante da anni cerchi di far conoscere a qualcuno in più della mia quasi inesistente cerchia di amici, non dico conoscenti, quanto di valido abbiamo nella nostra provincia, nella nostra nazione, restringendo obbligatoriamente il campo all’enogastronomia e all’agroalimentare, sapendo già di ritagliarmi uno spazio immenso. Chi ricorda le mie discussioni sui social a proposti di TripAdvisor e adepti, pur sapendo che in quelle righe si cela, molto bene direi, anche del materiale utilizzabile, mi sono sempre schierato, specie in prima battuta, a difesa del ristoratore, pizzaiolo, oste…

Entriamo però nel vivo, veniamo da mesi, una quindicina circa, di chiusure, aperture… Susseguitesi talvolta con cadenze che non permettevano neppure il semplice prenderne atto, con cibo buttato via, conservarlo, utilizzarlo personalmente, regalarlo… Non sempre opzioni possibili, con personale messo in cassa integrazione, si fa talvolta per dire, richiamato, rispedito a casa… In un turbine degno di uno spettacolo teatrale, meno di una società civile.
Capisco, capiamo, anche se a quanto pare sempre meno, le situazioni in cui si sono trovati molti ristoratori. Ora, dal 26 aprile, l’ultimo Decreto – Legge si è inventato, trovatemi parola più adatta, l’apertura dei locali, mezzogiorno e sera, solo all’aperto, rispettando comunque tutte le normative vigenti, non toccate o modificato dal Decreto stesso. Distanza interpersonale, rilevazione della temperatura, quattro persone massimo al tavolo se non conviventi, igienizzazione delle mani, utilizzo dei DPI se non seduti a tavola… Nulla è cambiato.
Sarà per questo fine aprile all’insegna del brutto tempo, della pioggia, delle temperature non proprio primaverili, specie qui, al nord… Sarà per la stanchezza accumulata in tanti mesi, sarà forse perché il 46,6% dei locali della ristorazione non dispone di spazi e conseguentemente di posti all’aperto, stiamo assistendo al festival del si arrangi chi può. Spazi esterni inventati, muri con feritoie da bunker vissuti come assenza degli stessi, teli, tende, plastiche a chiudere svolazzanti ogni pertugio… Verrebbe da cantare, verrebbe e basta eh, Il cielo in una stanza di Gino Paoli.
Ma non basta, si va oltre, tavoli da 6 – 8 – 10 persone, naturalmente non conviventi, all’ordine del giorno. Figure in piedi senza mascherine oppure con le stesse a coprire parti che solitamente non emettono goccioline di saliva, la verifica della temperatura, questa sconosciuta, optional non sempre praticato, i dispenser talvolta ignorati. A denunciare, si fa per dire, il fatto, i fatti, disinvolti utenti nonché assidui frequentatori dei social che imperterriti scattano come da consuetudine raffiche di fotografie con i loro smartphone.
Perché, sia ben chiaro questo, se io, poco cosciente cittadina o cittadino, telefono a un locale e chi mi risponde inizia a sottopormi a un vero e proprio interrogatorio «Buongiorno, in quanti siete, conviventi?» ledendo le mie intoccabili libertà – libertà è partecipazione, cantava qualcuno illuminato negli anni ’70 – sempre io, stizzita, stizzito, non ho che da riagganciare e telefonare a un altro locale per vedere i miei insani desideri prontamente esauditi: «In quanti siete? Vi aspetto», poco importa se conviventi, conniventi o truppe cammellate.

«Cosa ti dicevo? Prenotato, in barba a qual rompi……. che aveva mille casini suoi», felici come bambini che rubata la marmellata sanno di averla fatta franca. Oggi ho saputo della chiusura definitiva di un mio locale del cuore, non perché ne fossi assiduo frequentatore quanto per come mi sia goduto una serata in quegli spazi, una manciata di ore che porterò davvero con me, preceduta da tanti scambi di messaggi, reciproche letture… Spazi che, ne sono sicuro, non hanno mai visto furbizie di qualsivoglia tipo, nemmeno soprusi o comportamenti incivili e meschini. Eppure i luoghi comuni avranno, quanto meno virtualmente, colpito anche lui, anche lui sarà stato inglobato in questa bolla che taccia di evasori, furbi, sfruttatori la maggior parte di chi vive di ristorazione.
E la responsabilità sta anche in chi di quella categoria, di quel settore fa parte, perché, signore e signori, la furbizia è dimensione del tutto trasversale, siatene certi. Chiudo, era ora, riportando integralmente quando scritto stamane sul mio profilo Facebook. Non saprei fare di meglio, abbiate comprensione
Chiude l’Officina dei Sapori di Fabio Tammaro, di ristoranti ne chiudono, ne chiuderanno tanti, di una parte mi spiacerà che li conosca o meno. Di altri meglio così, con un certo cinismo che l’età mi sta portando in dote. Lo dico perché proprio in quegli spazi ho vissuto una delle mie ultime esperienze gastronomiche degne di nota, in compagnia di mia moglie Elisabetta, ricordando il giorno del suo compleanno. Lo dico perché poco fa mi sono imbattuto in una serie di luoghi comuni, se pur in parte veri ma nessuno dei quali rispecchia la visione e la condotta di Fabio.
Non so cosa farà, senza dubbio qualcosa d’interessante e diverso, com’è nelle sue corde, certo che… Certo che un suo ruolo questa situazione che la maggior parte di noi sta pagando l’ha di fatto svolto, rivolgo un inutile appello a tutti.
Sorta di ossimoro rivolgere un appello nella convinzione che non verrà seguito, ma così la penso, chi è con me d’accordo non ha bisogno delle mie parole, chi non lo è e sicuramente non leggerà queste frasi e non le seguirà comunque.
Non aspettate che siano sempre gli altri a dare il buon esempio, iniziate voi, se quel locale non rispetta delle regole che si ritengono fondamentali per contenere e piano piano spegnere questo focolaio mondiale scusatevi e uscite: non vi merita, non ci merita. Se nel corso della serata, piano piano o all’improvviso, si rivelano tante piccole/grandi furbizie, pagate e uscite per non ritornarci mai più.
Premiate chi lavora seriamente, non chi è in parte responsabile di quei luoghi comuni a cui accennavo prima.
Premiate chi viene da voi perché sa della vostra serietà, in cucina e in sala, e non sa proprio che farsene di portali che languono – almeno questa consolazione – perché non più alimentati da frustrazione e meschinità.
Premiate chi non ha perso in questi mesi il senso della condivisione, dell’aiuto reciproco, del sostegno ai piccoli/grandi produttori che fanno, che potrebbero fare, ricco questo paese.
Premiate gli osti, gli chef o i pizzaioli, basta che siano veri, ciascuno nella propria dimensione.
Premiate e premiatevi, che stiate da una parte o dall’altra, perché ancora oggi altri non hanno capito o non vogliono capire che la barca è sempre quella.
L’Officina dei Sapori è morta, lunga vita all’Officina dei Sapori!
Signore lasciaci il virus , liberaci dagli incompetenti che ci schiavizzano senza alcuna ragione e preparazione