Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi e’ infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati.
Martha Medeiros da Lentamente muore
2016, conosco, sia pure attraverso i social media, Yvette Oosterhuise: m’informa che hanno rilevato, lui è Francesco Mazzarelli, l’Osteria Pian delle viti sopra Provaglio d’Iseo. Il cambio non è piaciuto, usiamo degli eufemismi, a dei «sostenitori» della precedente gestione che, sul solito portale, inanellano una collana di recensioni negative. Ma è di fatto un primo anno non facile per più ragioni ed entrambi considerano l’effettivo anno della nascita del ristorante, che tale è di là dall’insegna, se proprio proprio trattoria elegante, per il contesto in cui è immerso e i tratti dell’immobile, il 2017, primo luglio per l’esattezza, con l’entrata in scena in cucina, accanto a Francesco, di Peter Hrin, cuoco slovacco.
Da quella data Pian delle Viti inizia la sua ascesa, imbattendosi poco più di diciotto mesi dopo, come tutta la ristorazione del resto, nei pressoché uguali mesi di lotta con la pandemia, fatti di chiusure, aperture parziali, asporto come unica, per loro parzialissima, possibilità di lavoro. Pur essendo a poca distanza dal comune franciacortino, la loro «Osteria» va minimamente conquistata, con una salita finale, breve a onor del vero e affrontabile da qualsiasi automezzo, che porta alla meta. Stessa salita che al suo termine regala il sentirsi immersi, dopo una manciata di minuti, in un contesto naturale di grande piacevolezza. Un vigneto, non poteva essere diversamente, castagni secolari… E su questo, bontà infinità, persino i re-censori più vendicativi concordano.
Dopo un necessario rodaggio, Peter ha fatto per lo più esperienza in paesi anglosassoni e alcuni nostri piatti proprio non lo convincono, lontani come sono dal suo passato quotidiano, il sodalizio con Francesco e le sue tante idee inizia a funzionare, i piatti divengono sempre più definiti, prendono carattere, sino al fermo obbligato. La brigata però non si arrende e la cucina utilizza mesi e mesi di frammentario lavoro per provare, sperimentare, piatti, abbinamenti, materie prime. Nasce, questo post, inutile ripeta per l’ennesima volta la distinzione tra il mio attuale scrivere e una canonica recensione, dall’esprimere e condividere la mia, le nostre, visto che sempre più raramente mi muovo da solo, sorpresa nel constatare quanto si sia ulteriormente affinata, quanto abbia guadagnato in personalità la loro cucina, sorta di riuscito matrimonio tra alcune basi classiche, l’uso dei fondi, il territorio inteso come ricette e prodotti, nonché, la parte che ho, abbiamo, più apprezzato, l’avere precisa identità. Forse l’espressione che attualmente più considero nel vivere un’esperienza culinaria.
Iniziamo con una Tartare di trota iridea salmonata, marinata agli agrumi con cialdina di polenta, tris di maionesi all’ arancia, al limone e al brodo di trota, fiori di campo: non spaventatevi il nome del piatto nel menu è quello iniziale, il resto è descrizione analitica dei componenti. Buona la consistenza della trota, ovviamente esemplari di un certo peso per evitare l’eccessiva perdita di liquidi delle parti più sottili o, vista dall’esecuzione, di tempi troppo brevi di marinatura, buone, «fresche», le maionesi.
Si prosegue con delle Lumache in guazzetto con polenta. Nel guazzetto ci sono funghi porcini, pomodorini e il fondo bruno realizzato «in casa». Ancora in evidenza le consistenze, qui in contrasto, morbidissima la polenta, giustamente callose le lumache, sapido e incisivo il guazzetto, prima espressione di quella mano che contraddistingue più piatti.
Giunge un Carpaccio di magatello di scottona marinato, tartufo nero estivo, una mousse di patate alla liquirizia e vaniglia, maionese di aglio nero, olio evo del sebino di loro produzione. Doveroso precisare che quello da noi assaggiata era sorta di anteprima in cerca di una sua definitiva composizione, ottimo il carpaccio di magatello sposato alla consistenza e ai ricordi di nocciola del nero estivo, mancava probabilmente un elemento che apportasse un poco di acidità a un insieme forse un poco troppo «rotondo»: Francesco, interpellato successivamente per alcuni nomi, mi ha già fatto pervenire la ricetta finale congiuntamente a uno scatto della stessa: ora la nuova composizione è Carpaccio di magatello di scottona marinato su cialda di riso, mousse al tartufo nero estivo, liquirizia e vaniglia, germogli di senape saltati (con olio sale e pepe e qualche goccia di succo di limone), maionese di aglio nero, tartufo nero estivo e olio evo del Sebino di loro produzione. I germogli sono tra gli elementi introdotti per ovviare a una parte della sensazione percepita.
Inizia la sequenza dei due primi, preciso che le porzioni erano calibrate per una richiesta degustazione dei piatti che caratterizzano l’attuale corso del locale. Gnocchi di polenta con ragù di cervo e crema di robiola, ottimi gli gnocchetti, delicato ma ben presente il ragù in questa occasione un poco schiacciato dall’intensità, probabilmente dovuta al grado di maturazione della robiola, e dall’intensità della fonduta di robiola. Basta davvero poco per calibrare un insieme di buona piacevolezza.
Caramelle del Pian con ripieno di carne conditi con burro chiarificato aromatizzato alla salvia e burro nocciola di malga. L’interpretazione personale e davvero riuscita di un quasi classico della cucina bresciana: i casoncelli con ripieno di carne al burro e salvia… Il quasi è dovuto alla ricchezza del ripieno, che nella tradizione non conosce certo né la carne né l’abbondanza di questa preparazione, sfoglia sottile, bassaiola, tanto, profumato, godurioso ripieno per uno dei piatti che bene esprime il percorso intrapreso dalla cucina del Pian delle viti.
Affrontiamo i secondi… Carré di agnello con millefoglie di patate, demi glace e maionese di aglio nero. Tornano felicemente i fondi, perfetta la cottura in CBT seguita da una breve rosolatura, tanto goloso il millefoglie di patate che non mi vergognerei di chiederlo come piatto a sé stante: a riprova dopo un paio di tentativi l’ho messo in primo piano nello scatto, sacrificando il carré…
Manzo all’olio a modo nostro con polenta. In quel «a modo nostro» non si cela etichetta di comodo o un ego volutamente ipertrofico quanto una semplice dichiarazione d’intenti, così lo abbiamo pensato, così lo proponiamo… La ricetta non è certo quella del Disciplinare rovatese, ma risulta diversamente piacevole, equilibrata: altro piatto simbolo di un corso appena iniziato.
Fois magher, ché il cibo è anche gioco: fegato cotto a bassa temperatura con cipolle stufate sfumate al Madera e crema di patate. Cotto opportunamente in CBT il fegato diventa «fondente», il nostro, sapori indovinati, pieni, non risultava proprio così a livello di consistenza, ma era comunque interessante, specie pensando al pieno raggiungimento degl’intenti della ricetta. Sempre di grande effetto il fondo.
Last but not least il dessert: per me Bomba all’arachide salato con granella di frutta secca, zenzero candito e crema inglese. Una conclusione in sintonia con i piatti che l’hanno preceduta, la conferma, se mai ne avessimo necessitato, della strada imboccata dalla cucina di questo locale immerso nel verde della collina provagliese. Ancora ospiti dello spazio esterno, ci sarà tempo per le tre sale dell’interno, che permette di assaporare appieno della collocazione di questo ristorante. Una bottiglia a tutto pasto, un bicchiere per il finale dei secondi: stasera l’attenzione è stata riservata ai piatti del Pian delle viti, la carta dei vini è comunque più che decorosa, forse da aggiornare online, con una logica presenza della Franciacorta che lo ospita, sia sotto forma di vari Franciacorta DOCG, che di alcuni Curtefranca DOC e Sebino IGT, mentre il resto della provincia, se si esclude qualcosa della Valtènesi, non è al momento considerato.
Un altro locale degno di nota si aggiunge a pieno titolo nel già interessante panorama bresciano, parlo in particolare della provincia, ché il capoluogo necessita ancora di prendere coraggio e dare maggiore peso alla ristorazione di qualità, indipendentemente dalla tipologia della stessa. Un’altra possibilità, certamente non la sola, di far conoscere i tanti prodotti dell’agroalimentare locale, di sorreggere e partecipare alla valorizzazione, all’attrattività del nostro territorio: non sarà mai troppo presto per rendercene, tutti, conto. In questo senso bonus per i link del sito a Franciacorta e Provaglio, un modo per invitare sguardi e presenze a prendere atto di ciò che circonda il locale.
Devo tornare a prendere confidenza con l’uso dello smartphone nel costruire una piccola memoria dei piatti, abbiate pazienza, sono le prime prove dopo un periodo di quasi segregazione per motivi sia ampiamente noti che meno.
Un grazie a un amico antropologo – grazie Renato – che mi ha segnalato il perpetuarsi dell’errore di attribuzione delle rime della poetessa brasiliana Martha Mendeiros – A morte devagar – a Pablo Neruda.