“… giovenotti che se fanno pagà er vermutte da una donna, che ve pare?”
Carlo Emilio Gadda da Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
In principio era il vino ippocratico, prima arricchito di sole erbe aromatiche poi, medioevo, anche di spezie. Duplice la funzione: stimolare l’appetito, «aprire» lo stomaco e, alla fine del pasto, eupeptico, per aiutare alla digestione. Centrale il consumo di cibo. Un salto lungo secoli e arriviamo al vermouth, base di vini bianchi, la presenza dell’assenzio – wermut in tedesco -, spezie e zucchero: siamo in Piemonte, fine del 1700 e il vermut, nella grafia piemontese, passa da prodotto artigianale alla produzione su larga scala. Essenzialmente un aperitivo, dal latino medievale, dice il dizionario Treccani, aperitivus «che apre le vie per l’eliminazione».
L’introduzione serve, tra le altre cose, a dichiarare la predilezione, ma non l’obbligo, dell’utilizzo nella sua base di vini bianchi – anche il vermut rosso può provenire da vini di uve a bacca bianca -, predilezione che evita durante la sua elaborazione di complicarsi la vita con la presenza dei tannini. Nulla vieta dunque, se non la comodità, l’utilizzo come base, il vermut è di fatto un vino aromatizzato, di vini da uve a bacca rossa, scegliendo opportunamente tra i tanti vitigni disponibili nel nostro paese. Ma qui siamo nel bresciano e ne esiste uno che ben si presta allo scopo: il Marzemino, che no, non è esclusivo appannaggio trentino ma si trova nel nostro territorio, repetita juvant, almeno sin dal 1500 come descritto dall’agronomo bresciano Agostino Gallo nel suo Le vinti giornate dell’agricoltura e de’ piaceri della villa, che lo colloca sul Monte Netto, isolata altura della Bassa Bresciana.
Da questo intreccio di date e luoghi prende forma un altro Vermut bresciano, collegato da più fili al precedente post. Ancora Luca Scaroni, potremmo definirlo L’Alchimista, e Andrea Peri delle cantine Peri Bigogno. Mentre opera del primo è la formulazione, apporto del secondo è il vino base, individuato nel Borgo dell’Ora, Marzemino IGP Montenetto di Brescia, dal nome che è toponimo. Nella sua descrizione sul sito aziendale viene descritto come vino che al naso si esprime «con sentori di frutta rossa matura, fragola e sottobosco, lampone e ribes». Note che trovano compiuta espressione, pur nell’intreccio con gli elementi aromatizzanti aggiunti, nella seconda edizione di questo «comune» vermut, offerto da entrambe le realtà con due etichette diverse: ancora l’artigianalità che non riconosce la continuità come parametro caratterizzante e obbligato del prodotto.
Il risultato, garantito anche dall’apporto delle Distillerie Peroni, è un vermut dalla netta nota amaricante ben bilanciata, il naso nell’ultima versione, la seconda in ordine cronologico, è decisamente fruttato con i ricordi del vino ben presente, le note di fondo, che ritroviamo nell’assaggio parlano d’Italia: Mirto, Liquirizia, Assenzio, Rabarbaro… Un prodotto che dialoga felicemente con i Bitter per regalarci una versione che sa di autoctono di classici come l’Americano e il Negroni: l’idea di pensarli interamente realizzati con prodotti bresciani, che non va certo presa come diktat o compiaciuto onanismo, può divenire ennesimo tassello identitario di una proposta.
Importante, in questo caso l’impresa è ben riuscita, che il tutto non diventi semplice, e sterile, moda, accodamento a un trend senza una base fatta di prodotti dalla precisa storia e personalità: tutti a «fare» vermut, tutti a «fare» gin… Qui è un vino locale, rosso, che si veste a festa, diviene altro mantenendo un carattere di base, espresso peraltro con due etichette, quella del Vermut Aro, che fa capo a Luca e quella del Vermut del Borgo, distribuita da Andrea come azienda Peri Bigogno. Un accordo che parla di sana complicità, di collaborazione, di valorizzazione del nostro territorio fatto, ancora una volta, sì di uve, di vino, ma, come sempre, di persone capaci, creative, dinamiche, talvolta frenate da luoghi comuni, da retaggi che più non corrispondono a mutate realtà.
Le immagini sono cortesia di Luca Scaroni e Andrea Peri nonché da banche immagini free. La parte iniziale del post richiama, molto parzialmente, un mio pezzo apparso ormai una vita fa sulle pagine bresciane del Corriere della Sera dedicato al rito dell’aperitivo.