No Show, l’inciviltà che avanza

no-show
sostantivo
“Mancata presenza”: l’abitudine di un’agenzia di viaggio, di un operatore turistico o del singolo viaggiatore di prenotare un volo o un altro tipo di servizio, senza poi curarsi di cancellare in tempo utile la prenotazione.
 
Da Oxford Languages

Niente di nuovo sotto il sole, il termine ha semplicemente allargato il suo campo d’azione, divenendo uno dei, tanti, problemi dell’attuale ristorazione. Accanto alla difficoltà nel reperimento del personale, sia di sala che di cucina, all’aumento delle materie prime, dell’energia elettrica, agli effetti non sempre positivi di una, ormai datata, liberalizzazione delle licenze, 2008 se ben ricordo, ecco il sempre più diffuso malvezzo di non presentarsi dopo avere prenotato un tavolo in un locale.

Non ho le competenze per indicare possibili soluzioni, su quelle lette sono piuttosto scettico, non tanto per loro intrinseca praticabilità ma per quella vena anarcoide che, piaccia o meno, ci contraddistingue come italiani: siamo allergici al lasciare i dati di una nostra carta di credito, la viviamo come brutale imposizione, sanguinante ferita alla nostra “privacy”, salvo poi lasciare sparse per la rete sovrabbondanti tracce del nostro esistere sociale.

Ma il mio scrivere odierno non ha alcuna pretesa tecnica, quanto il prendere, amaramente, atto di una inciviltà che avanza. Inutile negare che mai come oggi il cancellare una prenotazione, tempo l’estrarre con mossa da desesperado il fumante smartphone – Campo lungo, figura intera, piano americano, primo piano, particolare… – come in un ipotetico film di Sergio Leone girato ai nostri giorni, sia questioni di attimi, di secondi. Non servono, di là da reali e spiacevoli problemi, particolari doti di fantasia: «Pronto? Buonasera, volevo avvisarla che purtroppo mi trovo costretto ad annullare il tavolo a nome …».

Sufficiente il farlo con ragionevole lasso di tempo, basta in alcuni casi una mezz’ora o poco più, in ogni caso nessuno pretenderà dettagliate spiegazioni, nessuno verrà a prelevarvi per legarvi a una sedia e puntarvi addosso una classica lampada da interrogatorio, mentre l’altrettanto classica coppia – il ristoratore buono, quello cattivo – vi subisserà di domande. Semplicemente verrete ringraziati, gl’interlocutori più accorti ed educati vi saluteranno con un «spero di rivederla presto» e il tutto sarà concluso. Per voi almeno, perché al ristoratore, oste o pizzaiolo che sia, lascerete un lasso di tempo in cui, con un pizzico di fortuna, potrà risistemare la sala, accogliere clienti che non avevano avuto l’accortezza di prenotare o richiamare persone che avevano cercato, senza successo, un posto per il pranzo, la cena…

In cambio di un gesto minimo eviterete a chi sta lavorando in quel momento, mentre voi vi aggregate all’ultimo istante a un’altra compagnia o semplicemente scoprite di desiderare pesce anziché carne, o ancora avete scoperto che l’ancora esistente TripAdvisor sconsiglia, no non lui che ha le mani perennemente lavate e igienizzate, vivamente la vostra preventiva scelta «Mi aspettavo di più, porzioni piccole e prezzi alti, scelta di piatti scarsa…», perda concretamente lavoro, incasso, nonché, specie per alcune tipologie di locali, veda pregiudicati gli acquisti di derrate per quell’occasione.

Il problema è che non ci si pensa o, meglio, non molti ci pensano e questa è una delle rarissime occasioni in cui davvero mi chiamo fuori, perché, nelle poche volte in cui non mi è stato possibile oppure ho cambiato idea sullo svolgersi della serata, mi è bastata una brevissima conversazione per ovviare al tutto. Il problema è che sempre più spesso siamo diventati umbilico-centrici, il nostro muoverci, il nostro agire ruota pressoché interamente attorno alla cicatrice posta nella parte centrale del nostro addome… Che è la variante anatomica del nostro orticello, dimenticando quanto sia difficile, a meno di costruirlo in un bunker, con quasi infiniti problemi, così gestirlo.

Suona così banale dirlo ma se diamo rispetto otterremo rispetto o, al limite, saremo ampiamente autorizzati a far presente, al momento e direttamente, che no, un risotto scotto e sciapo non vi soddisfa, una costata non ben rifilata che porta con sé sentori di altri tempi non va bene, una pizza con fondo e cornicione ampiamente bruciacchiati possono tranquillamente riportarla a chi l’ha sfornata e consegnata al cameriere…

Accanto a chi di fatto non vive come dovrebbe un «mestiere», una professione del tutto unica – lo è per tempi, orari, fatica, calendario… – esistono non poche realtà dove operano figure che di quel «mestiere» hanno fatto ragione di vita, tensione positiva, gratificazione unica. E non si meritano inciviltà, maleducazione, disattenzione: ne guadagneremmo tutti, ne sono ampiamente sicuro.

A muovere le mie dita sulla tastiera sono state le parole, sopra riportate, di Nadia Vincenzi, figura che nella ristorazione bresciana non necessita di presentazioni, come, accanto a lei, le quasi giornaliere e analoghe parole di tanti ristoratori, bresciani e non. Le immagini provengono da banche “free”

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