Il pane non è solo merce: breve storia di una crisi

«E di pane dei cieli li saziò», scrive il salmo 105, al verso 40. La manna è pane, cibo indispensabile che non si può negoziare, va fornito e basta. E il pane scende dai cieli a sufficienza, ma con regole d’uso. La divinità precisa che serve «leoclà», per il cibo. Non è nota superflua, vuole con questo escludere ogni altro impiego: non se ne può fare commercio. … Il pane è la manna della terra, opera laica a immagine e somiglianza di quella caduta nella quarantena del deserto»

Dalla postfazione di Erri De Luca al libro Pane nostro di Predrag Matvejević

Inizi di settembre, pubblicavo uno dei miei sempre più rari post su Facebook, la condivisione di uno scritto a firma di Antonio Pacella, medico abruzzese, sul pane. Uno scritto intelligente che parlava del pane, dei suoi componenti, di una sua demonizzazione nel corso degli ultimi anni, smantellando tutta una serie di luoghi comuni. Un poco di pane buono, ben cotto, oggi mediamente in Italia se ne consumano all’incirca 100 gr al giorno pro capite, siamo ai minimi storici, non fa certo male e neppure «ingrassa».

Partendo da quel post, ho recuperato letture e voglia di parlarne, la cronaca quotidiana ha poi fatto il resto. Da settimane sentiamo di locali che chiudono, industrie in difficoltà, crisi energetica, bollette cresciute esponenzialmente, nello specifico l’aumento dei prezzi delle materie prime e, appunto, i costi dell’energia elettrica, ancor più che del gas, stanno creando una situazione sempre più difficile per la ristorazione, per realtà come pasticcerie, panifici… Ed è su questi ultimi, per ovvio collegamento con le mie letture, che la mia attenzione si è concentrata: il pane non è un bene di lusso, anzi rappresenta il cibo per antonomasia, ancor prima del «companatico», siamo nel 1300, la lingua è il latino tardo medioevale, cumpanatĭcum, da cum pane, ossia col pane… È la manna della terra, come la definisce Erri De Luca, che conferisce il nome a tutto ciò che ad essa si accompagna.

Sentire che un panificio chiude fa effetto particolare, di pane «buono» non ne troviamo a ogni angolo e allo stesso tempo di pane non è giusto doverne fare a meno, noi non diciamo un pezzo di formaggio, un pezzo di carne, nemmeno un frutto, ma «un pezzo di pane non si nega a nessuno». All’interno di quel detto c’è parte della nostra storia, della nostra cultura, del nostro sentire. Mi sono chiesto se davvero la situazione fosse così critica e rispolverato un contatto con cui ho condiviso momenti non trascurabili di crescita professionale, partecipando a giurie, degustazioni… Ho realizzato questo post. Lui è Roberto Perotti, che ho lasciato come presidente del Richemont Club Italia, nonché panificatore di livello presso la sua realtà lumezzanese, nata nel 1949, dal 1993 denominata Perotti Forneria, e che ritrovo ora nel ruolo di presidente del Richemont Club Internazionale presente in tredici nazioni di cui due extraeuropee.

La scelta è motivata da questa duplice funzione, una diretta esperienza concretizzata attraverso la gestione di un panificio, una visione allargata formatasi attraverso le due successive presidenze di un’associazione fondata da Piergiorgio Giorilli, che dal 1996 «sostiene l’attività dei suoi soci ai vertici nel settore della panificazione e della pasticceria»

Buongiorno Roberto, ma è davvero così pesante per la vostra attività l’attuale situazione? R.B. Assolutamente sì, è di fatto un momento molto difficile, prima i due anni di pandemia e quando s’iniziava a vedere la classica «luce in fondo al tunnel» è giunta questa crisi con i costi delle materie prime come farina, uova, burro, in continuo aumento e, soprattutto, con le bollette dell’energia elettrica che hanno raggiunto importi pressoché impossibili da sostenere. Tieni presente che per noi, come panificatori e come associati Richemont, il pane è un bene primario, una sorta di «bandiera» che deve poter essere presente sulle tavole di tutti. Nonostante questa visione, il quadruplicarsi dei costi energetici rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ci ha costretto a un aumento del 15% sul prezzo finale, aumento che tuttavia non copre quello totale da noi subito.

Come è stato vissuto tale ritocco, peraltro contenuto, da parte dei vostri clienti? R.B. Devo dire con molta comprensione da parte di tutta la nostra clientela, in quasi quarant’anni di attività, ho visto ritoccare il prezzo del pane mediamente ogni 4-5 anni… Le persone lo sanno e capiscono, vivendolo anche loro direttamente, l’entità degli aumenti che ci hanno colpito. Inoltre se avessimo effettivamente voluto riportare i margini a quelli precedenti avremmo dovuto incrementare quello percentuale di circa tre volte, ossia attorno al 40%. Ora proveremo ad affrontare i prossimi 2-3 mesi, poi vedremo come comportarci: l’aumento del singolo panino è di pochi centesimi, è l’insieme del tutto a essere preoccupante.

Nelle motivazioni che mi hanno spinto a questa sorta d’intervista è compresa la visione dell’alimento pane, che ha precisi significati nutrizionali, culturali, sociali… Mi pare di avere capito da qualche accenno che è anche la vostra. R.B. Assolutamente sì, da tempo sia a livello personale che come associazione Richemont Club, c’impegniamo in una rivalutazione del pane come alimento: il buon pane, realizzato con buone materie prime, consumato nelle giuste quantità giornaliere può essere tranquillamente considerato uno dei «re della tavola»

Dal vostro osservatorio privilegiato, l’attuale situazione è solo nostra o è generalizzata, quanto meno in ambito europeo…? R.B. Direi che è quasi generalizzata, nell’ultimo convegno internazionale, tenutosi in Portogallo all’inizio di settembre, ho potuto constatare che in Europa siamo un po’ tutti nelle stesse condizioni, magari con qualche minima variazione da paese a paese. Diversa, lo riporto perché mi ha personalmente impressionato, la condizione in un paese extraeuropeo come il Messico: un collega mi ha riportato che la sua bolletta media è di circa 120 dollari al mese… Quella di un normalissimo privato da noi… Questo ci dà l’idea di cosa costi l’essere in buona parte dipendenti da fonti di energia esterna al paese, questo il Leit Motiv imperante.

Come Richemont Club avete cercato soluzione che possano se non risolvere almeno mitigare questa impennata dei costi energetici? R.B. Come prima mossa ci siamo rivolti ai principali fornitori di energia elettrica, ma sinora questi tentativi non hanno sortito effetto alcuno. Penso che una maggiore incisività si possa avere facendo «gruppo», penso a un’azione comune che veda coinvolta la Feder Panificatori, se il messaggio fosse veicolato con la forza dei circa 24.000 panificatori oggi esistenti in Italia forse qualche maggiore effetto lo si potrebbe ottenere, anche se ritengo che l’aspetto energetico debba essere affrontato a livello europeo e non certo locale.

Si avvicina il Natale, un periodo che per le vostre attività è sempre stato importante, probabilmente il periodo più impegnativo e al contempo remunerativo dell’intero anno, quali le considerazioni? R.B. Assolutamente vero, premetto, come per il pane, che se è vero che i cosiddetti «grandi lievitati», panettone, pandoro… Non possono essere considerati come beni primari, hanno un altissimo valore simbolico, per la nostra cultura un Natale senza panettone perde una parte del suo significato di festa da celebrare degnamente. Certo è che se sommiamo i costi quadruplicati dell’energia, a quelli aumentati di farina, burro – oggi un buon burro viene da noi pagato 11/12 € al kg – e degli altri ingredienti di questo dolce tradizionale, sto parlando naturalmente di un prodotto artigianale di ottimo livello, realizzato con le migliori materie prime, arriviamo facilmente a ipotizzare un prezzo finale attorno ai 40 € al kg… E spesso non esiste solo un problema di costi ma anche di reperibilità: quest’anno abbiamo dovuto confermare gli ordine della scatole in cui confezioniamo i nostri panettoni senza avere garanzia alcuna di quante ce ne verranno effettivamente consegnate.

Dalle parole di Roberto Perotti, che ringrazio per la disponibilità, alla cronaca quotidiana che vede in tutta Italia la chiusura di pasticcerie, panifici, non più in grado di fare fronte ad aumenti di un’entità che pochi avevano ipotizzato, mi riferisco a quelli del comparto energetico, emerge un quadro di emergenza che naturalmente non si ferma a questo specifico comparto, basti pensare alle difficoltà delle industrie energivore unite a quelle delle singole famiglie, ma che qui assume un significato particolare: toccare il pane è toccare uno dei pilastri della nostra cultura alimentare, quella sorretta da una triade di cui il pane, con l’olio e il vino ne sono assoluti componenti.

Le immagini sono cortesia del Richemont Club Italy ad esclusione della copertina di Pane nostro

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