Vino In-dipendente, una ragione per esserci

Una delle lezioni più importanti della vita è quella di imparare l’indipendenza e comprendere la libertà, che significa emancipazione dall’attaccamento, dai risultati, dalle opinioni e dalle aspettative.

Brian Weiss, psichiatra e scrittore statunitense

Per chi volesse sapere qualcosa sulle genesi di questa manifestazione giunta al suo ottavo compleanno rimando al precedente Libertà è… In-dipendenza, post del 2020, o ancor prima a un mio pezzo uscito nel 2017, La festa del vino indipendente, settanta cantine a Calvisano, sul dorso bresciano del Corriere della Sera. Questa volta, a meno di una manciata di giorni dalla data dell’evento, voglio provare, senza intenti polemici, a suggerire le ragioni per cui una visita alla Sala Polivalente di Calvisano, che da sempre lo ospita, ha più di un senso. Attenzione, non ho intenzione alcuna di gettarmi nell’infinita querelle del termine vino naturale e di tutti i suoi corollari, pur conscio che ormai, alla stregua del Mr. Chips di James Hilton e di tutte le versioni cinematografiche del libro, non temo, poca saggezza e molta follia, di esprimermi liberamente, quanto di cogliere le opportunità offerte dalla rassegna di Stefano Belli, «one man band» per non pochi versi.

L’invito è «naturalmente» oltre che particolarmente, per chi non conosce affatto nemmeno uno degli oltre 50 produttori che animeranno l’evento, addetti ai lavori sensibili alle sue tematiche, appassionati di vini naturali, qualsiasi cosa intendano con questa etichetta, anche se esiste una precisa indicazione dei principi alla base delle scelte di Stefano, se lo saranno già segnati nella loro agenda. Per me l’occasione è particolarmente interessante per chi dopo avere sentito tanto discutere attorno ai concetti della viticoltura biologica, biodinamica, al rispetto dell’ambiente e del territorio di là dalle etichette, ai vini senza solfiti o con il minimo di solfiti aggiunti, giusto o limitante che sia, ai vini macerati, all’uso di lieviti indigeni o autoctoni che dir si voglia, magari all’assenza di controllo della temperatura nelle fermentazioni, o a quello delle filtrazioni più o meno esasperate che portano il rischio di avere vini belli da vedersi, pulitissimi ma, forse, carente d’anima e identità, voglia farsi una propria personalissima idea del tutto, e smettere di pensare e opinare senza essersi confrontato con chi ha fatto, in maniera diversa, scelte di questo tipo.

Magari nei suoi assaggi rafforzerà la convinzione che, per i suoi gusti, la maggior parte di questi vini «suonano» un poco strani, magari scoprirà che questa «stranezza» in alcuni casi può risultare affascinante, degna di conoscenza e frequentazioni. O ancora si sorprenderà come con grande attenzione e cura sia possibile realizzare vini puliti al naso e al palato senza ricorrere massivamente alla chimica in cantina, o si convincerà che alcuni dei presenti devono ancora percorrere della strada per giungere a risultati bene accetti a un numero maggiore di persone… Ma in ogni caso avrà imparato, avrà incontrato sentori, consistenze, sfumature che ignorava, avrà affinato le proprie conoscenze, discusso con chi quel vino l’ha seguito sin dall’inizio, grappolo sulla vite, senza dimenticare che il tutto è immerso in un preciso luogo, in un particolare territorio che va difeso, rispettato, valorizzato. Avrà comunque fatto un viaggio inedito, specie quando rifiuterà alcuni luoghi comuni che, magari, vogliono quei produttori, tanti giovani, bontà loro, irsuti, un poco burberi o scontrosi, pochi inclini al dialogo o, all’opposto, pletorici nel dialogo, affabulatori.

Come ogni anno delle conferme, l’inossidabile presenza, usciamo un attimo dal mondo del vino, di piccoli produttori di altri campi, come ogni anno delle novità: direi che da citare è la partecipazione di Riccardo Scalvinoni, chef del Colmetto di Rodengo Saiano, Stella Verde della «Gastronomie Durable» Michelin 2023, per una cucina all’insegna della sostenibilità, dei prodotti agricoli «veri». Così come assolutamente degna di nota la degustazione a tema che vedrà, selezionati da Tannarte Vini, 4 vini georgiani, ossia provenienti da quella nazione che è ritenuta la culla, l’origine, della vitivinicoltura nel mondo, come testimoniano le scoperte archeologiche fatte nel 2017 con il ritrovamento nel villaggio neolitico di Gadachrili Gora, non lontano dalla capitale, di reperti segnati da decorazioni rappresentanti grappoli d’uva, nonché di anfore per la produzione del vino, anfore che ancora contraddistinguono la produzione georgiana, e polline di vite che alla datazione con il C 14 ha fermato le lancette all’ottavo millennio avanti Cristo. Un viaggio nel tempo e nell’identità di tutto rispetto.

Ci saranno anche, tornando ai vini, produttori lombardi e, in particolare, bresciani, ma in questo caso è la globalità della proposta a prevalere, la varietà degli stili, il «sapore» dei territori e dei vitigni, la inusuale capacità, da me sempre percepita, dei vini macerati di prestarsi a più abbinamenti, senza dubbio nuovi e non comuni (ristoratori…). Una laica festa del vino da celebrarsi anche da chi rimarrà scettico o sospettoso ma avrà potuto «toccare» con i propri sensi una realtà difficile da ignorare.


Le immagini provengono dalla pagina Facebook di Vino In-dipendente, sulla quale, come sul sito dedicato VINO in-dipendente è possibile reperire informazioni dettagliate. Rimango come sempre a disposizione per qualsiasi precisazione o attribuzione.

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