Metti, un Licinsì a cena

licinsì sm. Osteria di campagna in cui è autorizzato, talora solo stagionalmente, lo spaccio al minuto di vino prodotto nella zona: … El sét chè fóm, chè mé… chè gó ‘n po sét / rióm al licinsì, ché l’è derènt… (Scaramella). – Gianni Pasquini, Lessico Bresciano

Chiarito per i non bresciani, temo però anche per molti bresciani scarsi di primavere o poco interessati al nostro dialetto e ad alcuni luoghi del passato, il significato originale del termine «Licinsì», detto che il riferimento cinefilo all’opera di Giuseppe Patroni Griffi si esaurisce nel titolo, qui ci si muove pressoché esclusivamente sul terreno della concretezza, è possibile dare inizio a questo breve resoconto su una parca, per intenti, non certo per potenzialità, cena negli spazi di questo locale – il nome completo è El Licinsì di KilometriZero – della prima periferia cittadina, aperto nel 2016, dalla coppia, anche nella vita, composta da Gabriella Colombari e Dario Scolaro.

Decisa all’ultimo momento, preceduta dalla doverosa telefonata di prenotazione, così come dovrebbe esserlo quella di rinuncia per qualsivoglia motivo o necessità, è stata piacevole intermezzo nella caldissima e afosa, che ve lo dico a fare, serata di ieri. Non apparecchiato, visto le temperature, il nuovo plateatico, i cui ombrelloni sono stati recentemente «vittime» dell’umana stupidità, ci siamo accomodati nel climatizzato interno per concederci un paio di piatti, piatti che attingono in prevalenza dalla tradizione e dai ricettari della cucina bresciana, con ampio uso, caratteristica dell’attività, di prodotti locali, con più di un Presidio Slow Food.

KilometriZero a sua volta è l’insegna della «bottega» inaugurata a poca distanza, e successivamente accorpata, nel 2012, con l’intento di proporre vini, salumi, formaggi… Quasi esclusivamente provenienti dalla provincia bresciana, ecco il senso dell’insegna, siamo comunque, e fortunatamente, lontani dall’uso disinvolto e ripetuto di quel termine, uso che ha causato sia un suo progressivo impoverimento che una certa stanchezza nel leggerlo in tanti menu: sinteticamente dall’uso all’abuso.

Pòta che trota 2023 l’antipasto scelto da entrambi, come avrete già intuito Elisabetta, santa donna, mi sopportava per l’ennesima volta, Pan brioche, trota marinata, songino, cavolo cappuccio e maionese al burro. Avendo l’accortezza di riunire nel boccone tutti i componenti del piatto, la ricchezza burrosa del pan brioche, Armando Guerini l’artefice, e della maionese venivano bene equilibrati dalla parte vegetale e dalla marinatura della trota. Preparazione gratificante sia nell’aspetto che nei sapori. Nel menu, come per tutte le voci, la provenienza degli ingredienti.

Ci si divide, l’assaggio reciproco è per noi ormai obbligo, con la seconda portata, un primo per il sottoscritto, Orzotto al pomodoro, zucchine e stracchino, con zucchine verdi e gialle, limone, stracchino all’antica delle Valli Orobiche (Presidio Slow Food), un secondo fuori carta per la signora, il classicissimo Vitello Tonnato in una bella presentazione, niente fotografia complice una forchettata d’istinto. L’orzotto è ormai proposto al Licinsì in tutte le stagioni, in questa versione estiva a dominare le sensazioni gustative è la freschezza del pomodoro, enfatizzata dalle zeste di limone e mitigata dalla dolcezza delle zucchine, quella gialla in particolare, e dalla presenza dello stracchino; il vitello tonnato si giova della buona qualità, e cottura, della carne nonché dalla salsa che non copre, non solo in senso figurato, le fettine di carne, permettendo di aggiungerne la quantità desiderata. Una nota di merito per la salsa dove capperi e un tocco d’acciuga, più l’eretica ma indovinata e lieve nota della salsa di soia, garantiscono vivacità alla preparazione.

Una fettina di brescianissimo Bossolà, qui servito con una confettura di albicocche, sempre opera di Guerini, e l’assaggio di un sorbetto all’Anesone Triduo concludono più che degnamente la serata. Bevendo ormai quasi solo acqua Elisabetta, e avendo portato quasi a zero il consumo di bevande alcoliche lo scrivente, diviene oltremodo gradita la presenza quotidiana di alcuni vini a bicchiere: un Franciacorta DOCG Brut e un Rosa Valtènesi hanno accompagnato degnamente i due piatti da me scelti.

In conclusione un locale che, di là da alcune difficoltà ormai cronicizzate nella ristorazione nel reperimento di validi collaboratori specie in cucina che hanno qualche volta nel passato messo un poco in difficoltà Gabriella e Dario, offre una cucina concreta e rassicurante, con qualche innesto di contemporaneità, e che pare avere trovato un nuovo punto di riferimento ai fornelli nel giovanissimo Matteo Barison, un menu dove si ritrovano con piacere preparazioni come la Trippa in umido, il Coniglio alla bresciana, l’utilizzo di pesci di lago come nei Tagliolini di pasta fresca con coregone essiccato , pomodorino datterino e basilico, piatti iconici come lo Strachì Parat, stracchino fuso con cipolle, salvia servito con polenta, o le Merecónde Verdi, gnocchi di pane con spinaci burro e salvia, su fonduta di Bagòss. Sempre disponibili una buona varietà di formaggi – Silter, Bagòss, Fatulì e altri formaggi caprini, Taleggio… – e dolci all’altezza. Discreta selezione di vini quasi esclusivamente, per me nota di merito in un locale con questo taglio, della provincia.

Le prime due immagini sono ricavate dalla pagina Facebook del locale: per le stesse resto come sempre a disposizione per qualsivoglia dettaglio o attribuzione.

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