Un Trentennale all’insegna della brescianità

La fortuna del 3 | non è opera del diavolo. | L’uno è la solitudine | il due la guerra | e il 3 | salva la capra | e i cavoli.

Eugenio Montale, Poesie sparse e altri versi

Tre volte dieci, un trentennale, 1993, il tre finale a dire che sì, sono passati trent’anni dalla pubblicazione de La Cucina Bresciana di Marino Maini, a cui, con un immodesto «io c’ero» avevo dedicato su questo altalenante, quanto meno nella frequenza delle sue pubblicazioni, blog, uno scritto datato luglio 2010 dal titolo Brescia in cucina e nei libri – I, vantando il possesso di una copia autografata e l’incontro con l’autore, l’editore Franco Muzio e l’allora curatore della collana Cultura Regionale Marco Guarnaschelli Gotti, scomparso nel 2003. Non ripeterò quindi quanto già detto, se non precisando che a spingermi, coinvolgendo un amico che trasferitosi in quel di Bolzano non sento, ahimè, da anni, a far parte di quel manipolo di appassionati curiosi fu proprio quanto sia Marini che Guarnaschelli Gotti scrissero sulla prima edizione del libro. Volevo sentire dalla loro viva voce se questa cucina bresciana esistesse veramente, non si fermasse a quella manciata di piatti che quasi tutti gli abitanti del territorio, mi chiedo i più giovani, conoscono e, ancora più importante hanno provato.

L’onnipresente Spiedo nelle sue versioni territoriali, con l’esclusione che sempre sorprende della Val Camonica, ricca invece per tanti altri versi, i Casoncelli, e anche qui ne avremmo da dire, le Mariconde, già dubito per l’assaggio, i Peperoni Lombardi con il formaggio, gl’Involtini di verza, Il Bossolà di Brescia che ora, sarebbe davvero una consolazione, sta conoscendo inaspettato successo, anche grazie al bel volume a quattro mani, Giovanni Brondi e Marino Marini, uscito lo scorso anno, forse la Persicata… Ma oltre, è solo osare. Eppure Marino Marini sin dalle prime pagine ci prende per mano e ci dimostra come da una provincia così articolata, dove alla pianura seguono le colline, i laghi, le valli e i monti, fosse praticamente impossibile non avere materie prime per molti altri piatti, per una «cucina cucinata» come l’autore ama dire, differenziandola da altre che vivono in larga parte di uno o più prodotti celeberrimi e, per carità, validissimi, ma che poi sugli stessi si avvolgono e attorcigliano spremendone ogni possibile sostanza.

Ed è questo il senso di quello che, del tutto personalmente, ribadisco essere uno dei più riusciti omaggi al nostro «far da mangiare», senza per questo scordare, e qui ci sarebbe tanto da mettere in opera, il bresciano raccoglitore, quello pescatore, il casaro, il norcino… Lo scrive in una sua riflessione di questi giorni, trent’anni dopo

Oggi dopo la nascita di East Lombardy si spera in un rilancio pubblico e privato della enogastronomia bresciana, che ha tutte le carte per meritarsi un riconoscimento anche fuori dai confini provinciali e lombardi. Le idee non mancano, si potrebbe riprendere il Concorso dei casoncelli, lanciare in grande stile la Via lattea bresciana, organizzare nei luoghi di grande afflusso manifestazioni enogastronomiche con i nostri prodotti, pensare alla Strada dello spiedo bresciano dopo il riconoscimento tra i PAT lombardi, e via inventando…

Così come riporta il «fermento attorno al cibo» di quegli anni ’90, fatto di non poche pubblicazioni, di un parlare e di uno scrivere attorno al cibo che trovava spazi per lui desueti come il teatro: «Si rappresentava, in teatro, la Massera da bé di Galeazzo degli Orzi e in un giornale locale la pregevole ricerca di Paolo Pietta sulle osterie bresciane.». Nasceva, per sua inventiva, in quel di Samboseto, era esattamente il 1990, La Guida alle Osterie d’Italia…

Oggi, trent’anni dopo, mantra di questo post, un ripensare o, forse meglio, un analizzare seriamente, dopo alcuni «eccessi» il fine dining italiano, piatti talvolta cervellotici più che cerebrali, egocentrici e autoreferenziali più che conviviali, si avverte la crescita di un desiderio di concretezza, di territorialità slegata dal diktat del un poco logoro km 0, e quale terreno più fertile per riscoprire, adottando alcune delle tante moderne tecniche a disposizione, dell’accresciuto rigore verso l’igiene, della maggiore consapevolezza dell’impatto che il cibo ha nei nostri confronti e in quelli dell’ambiente che ci ospita. Del resto il successo di non pochi nostri locali oltre i consueti confini, il parlare di alcuni nostri prodotti da parte della stampa nazionale non potrebbe essere migliore viatico per altri trent’anni all’insegna di una rinnovata brescianità.

P.S.: nel febbraio del 2013, usciva una nuova edizione de La Cucina Brescina per i tipi di ORME | TARKA, rimaneggiata e arricchita – La cucina bresciana nei testi antichi, Serle Trattoria Castello, Prodotti tipici bresciani con i Prodotti Agroalimentari Tradizionali, i Giacimenti gastronomici Luigi Veronelli… – giusto per citare alcune voci.

L’immagine di Marino Marini, ph. Alessandro Carra, mi è stata fornita dall’autore del testo, quelle delle copertine sono state da me ricavate dalle copie in mio possesso, quella iniziale proviene da una banca fotografica. Resto come sempre a disposizione per qualsivoglia rettifica.

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