La bella carne di castrato

I’ho un padre sì compressionato

che, s’e’ gollasse pur pezze bagnate,

si l’avrebb’anz’ismaltit’ e gittate

ch’un altro bella carne di castrato.

Ho un padre tanto sano nel fisico,

che se ingurgitasse anche dei pezzi di stoffa bagnata,

li digerirebbe e li smaltirebbe più alla

svelta di carne tenera d’agnello castrato.

Cecco Angiolieri – Rime,  Sonetto LXXIX

Partiamo dalle preparazioni per arrivare alle persone. LAMBURGER: Il nostro pane, 150 grammi di carne di castrato, il padano 40 mesi di Matteo Festa, insalata,maionese e ketchup.  Pasta di pane monococco, sisam e ragout di castrato. Il Cuz. La grigliata di castrato. Ecco un primo soggetto, il castrato – Sost. [Con rif. spec. al maschio della pecora:] animale da macello privato dei testicoli – come precisa il Dizionario storico della lingua italiana, ad evocare per molti, pavidi mangiatori di esangui fettine di vitello, carni rosse, aspre, dall’odore e dal sapore selvatico, alieno ai nostri civili (?) palati. Ammetto che i miei nonni materni, bassa bresciana checché dicano nome e cognome, non hanno mai citato quest’animale nei loro mai troppo ascoltati racconti, protagonisti erano il maiale, l’oca – messa via nel grasso -, l’aringa appesa con un filo sopra il tavolo e sbattuta sulla fetta dell’onnipresente polenta a dare un poco di sale e sapore … Ma nella fascia pedemontana si consumava, eccome: i castrati allevati dai pastori che praticavano la transumanza dalle valli bergamasche a quella camuna erano famosi, li si trovava finanche sulle raffinate tavole parigine e fino a un paio di decenni fa erano ghiotta presenza nell’Italia meridionale. Resta il consumo, confortato da una mia periodica visita, in Romagna principalmente cotta alla griglia, possibilmente a ricevere il calore della brace. Nella nostra provincia rimangono tracce affatto particolari come a Breno e nella media Val Camonica la salsiccia di castrato anche se per lo più orfana di carni locali.

Ma superata, per me, per noi senza problema alcuno, la mal comprensibile diffidenza ci si confronta con sapori per nulla ostici, consistenza e sapore sono da fini gourmet, l’adattabilità a svariate preparazioni da cuochi fantasiosi o legati alla tradizione. Siamo lontani, in senso positivo, da alcune analoghe carni importate per ragioni prevalenti di costo e facile reperibilità e ben preparate combattono ad armi pari con i blasonati agnelli pré salé della Normandia, con in più il senso di un prodotto del territorio. Non può che essere di conseguenza accolto con entusiasmo l’idea di reintrodurne il consumo, attraverso la ristorazione più attenta a questi argomenti, elaborata dal professor Michele Corti, docente presso l’Università degli Studi di Milano dove insegna Sistemi Zootecnici e pastorali montani e già ospite in questi spazi per la sua difesa della sagra autentica. Da  un nostro dialogo nasce il coinvolgimento dello Scultore che ha presentato a un ristretto gruppo una sua prima proposta giocata sull’utilizzo del castrato lombardo: mercoledì sera, 23 marzo, erano con noi Benedetto Rebecchi, agronomo direttore del Parco delle Colline
Bresciane, Anna Mazzoleni, agronoma consulente dello stesso, Danilo e Michele Agostini rispettivamente quarta e quinta generazione di pastori d’origine bresciana, e Ivan Sandrini anche lui quarta orgogliosa generazione.

Fitta, dotta ma per nulla pedante la conversazione che è spaziata dai metodi di allevamento al giusto peso per apprezzare appieno le caratteristiche del castrato senza prolungare in modo esasperato il lento accrescimento secondario: si tende a macellare ora attorno ai 13-15 mesi massimo per un peso di circa 70-75 kg, senza trascurare le potenzialità produttive del comparto e alcune preparazioni che affondano nella cultura della pastorizia, come la bergna o berna, carne leggermente salata e poi essiccata
che offre il meglio di sé fatta “rinvenire” sul fuoco dopo una breve maturazione e che un tempo costituiva uno dei principali apporti proteici della dieta dei “Tacoler”, i pastori in Gaì, parlata dei pastori di una parte dell’arco alpino, in particolare delle Alpi Orobiche e, di conseguenza, dell’alta Val Camonica. Non sono mancati apprezzamenti, e giuste critiche, alle preparazioni: unanime consenso ha riscosso il “Lamburger” estroso nome giocato sull’inglese Lamb – agnello – e la contrazione di Hamburger per un piatto davvero interessante. Personalmente, specie per la sua valenza propedeutica, ho trovato valida la Pasta di pane monococco, sisam e ragout di castrato, vero “concentrato” di prodotti e ricette bresciane. Rimane obbligatorio evidenziare, risulterebbe del tutto monco questo
post se così non fosse, che fondamentale appare la decisione del Comune di Brescia attraverso la realtà del Parco delle Colline di affidare la “manutenzione” di alcuni spazi montani limitrofi alla città (Campiani e Monte Maddalena) a greggi ovine , decisione che potenzialmente da la possibilità di utilizzare una materia prima straordinaria da molti punti di vista. Preliminare a quest’utilizzo la riqualificazione di un importante numero di ettari boschivi da molti anni invasi da essenze infestanti e non autoctone come le robinie che faranno successivamente spazio ad alberi di pregio locali come querce, carpini e castagni. In altre parole e riassumendo, un’idea che riunisce difesa e valorizzazione del territorio, tradizione e cultura gastronomica e che getta le basi per un utilizzo turistico intelligente.

Maggiori dettagli sul progetto posso essere reperiti nel blog Ruralpini e nella pagina Facebook di Michele Corti autore delle fotografie presenti.

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