Osterie d’Italia 2023 Slow Food

In fin dei conti, l’osteria è il luogo che scegliamo per stare bene, una democratica terra di tutti costruita su un imperativo dominante, quello dell’accoglienza, …

Dalla prefazione di Francesca Mastrovito ed Eugenio Signoroni, curatori della guida

Uno dei temi che da sempre ha segnato le prefazioni, le introduzioni, i commenti alla guida delle osterie, sin dalla prima uscita nell’ottobre del 2011, dedicata naturalmente all’anno seguente, il 2012, è stato quello della definizione del termine Osteria, il maiuscolo non è refuso, lo fanno, i curatori, anche in questo caso, utilizzando la formula sopra riportata come citazione. L’osteria è il luogo che scegliamo per stare bene, giusto un filo lapalissiano, anche se, visto il grado di masochismo raggiunto in taluni casi nel nostro bel paese, magari era proprio opportuno esplicitarlo. E l’imperativo, rivolto quindi agli operatori ancor prima che ai fruitori come del resto viene testualmente detto, è quello dell’accoglienza ossia, lo evidenzia il Vocabolario Treccani, «L’atto di accogliere, di ricevere una persona; il modo e le parole con cui si accoglie». «Ancor prima – cito ancora testualmente – della sensibilizzazione del commensale, dell’educazione del palato, …». Ancor prima, ne deduco senza intento di polemica alcuno, delle materie prime utilizzate, dei piatti, della descrizione del territorio… Che ovviamente rimangono importanti, fondamentali per la presenza in guida, visto l’introduzione del simbolo Bere Bene, con l’attenzione, già rilevata nel precedente post, anche per le alternative al classico «quartino» di vino, che per alcuni fa ancora «osteria», forse un poco datata, magari un filo obsoleta, ma anche di quelli dedicati al pane e all’olio: da quanto tempo dico a destra e manca quanto sarebbe bello imperniare una rassegna sulla triade pane, olio e vino… Pilastri di una cultura enogastronomica affatto unica.

Accoglienza dunque da parte di… Un oste ecchediamine, un’ostessa! Io che prima utilizzavo il termine lapalissiano ora ne cado vittima, ecco, se devo fare un appunto, in alcuni dei locali, degnissimi e validissimi, talvolta citati, questa figura, almeno nell’accezione comune del termine, pare latitare. Così come l’ambientazione è talvolta importante, quasi sontuosa: non voglio cadere nell’inganno del trito «non è l’abito che fa il monaco», ma sfido chiunque a «sentirsi» in un’osteria in certe realtà, che di fatto non riportano questo termine nella loro descrizione ma parlano, giustamente aggiungo io, di ristorante. D’altro canto bene, benissimo, che giovani cuoche e cuochi, i loro locali, vengano fatti conoscere al maggior numero di persone possibile. Rimane dunque aperto il dibattito, ma in fondo è giusto che lo sia, su cosa ognuno di noi intenda con quella parola, osteria, appunto. Ultimo punto, spinoso per più versi, è quelle dei prezzi, inutile tornare sull’emergenza del momento, piuttosto è possibile affermare che Slow Food pare aver lasciato passate rigidità e imboccato nuovi parametri di giudizio, anche questo punto viene affrontato nell’introduzione, diversamente strutturati e concepiti: forse l’osteria con pochi, semplicissimi e un poco disadorni piatti, è destinata a imboccare il viale del tramonto, anche se non mancano, magari oltrepassando i confini bresciani, splendide eccezioni: un’altra ragione, perdonerete il mio ripetermi, per acquistare fisicamente il volume.

Anche in questo caso l’attenzione è concentrata sulla provincia bresciana, con un fiorire di nuove proposte e di nuove chiocciole, e l’uscita di qualche, pochissimi per verità, locale dall’empireo o dalla presenza in guida. S’inizia, anche in questo seguendo l’ordine alfabetico delle località, con Le Frise di Artogne della famiglia Martini, chiocciola, Al Cantinì di Borno, La Madia a Brione, chiocciola e per il locale di Michele Valotti l’utilizzo della definizione di «osteria contemporanea», Osteria Concarena a Cerveno, Tamì a Collio, chiocciola per l’opera dei fratelli Lazzari, Finil del Pret a Comezzano Cizzago, Osteria del Maistrì a Concesio, Da Sapì a Esine, chiocciola al locale della famiglia Foppoli e citazione per Mauro Vielmi in cucina e Daniela Foppoli in sala:sinora tanta Valcamonica e non posso che esserne contento, ma non è finita. Locanda Genzianella a Gargnano, due realtà a Gussago in Franciacorta, l’Antica Trattoria Piè del Dos, chiocciola per Stefano Pazzaglia e Resi Martinotti, e il felice ritorno in guida dell’Osteria dell’Angelo. Concludiamo il primo paragrafo con la Trattoria Muliner 1964 a Iseo, località Clusane.

Si riparte, ancora Valcamonica, alla grande con Al Resù di Lozio, chiocciola, con il di più di uno dei premi speciali conferiti durante la presentazione della guida, il Premio Miglior Giovane Vittorio Fusari Franciacorta consegnato a Greta Gemmi, interprete di spicco nella cucina del locale di famiglia. Lago di Garda per il Dalie e Fagioli a Manerba, Lago d’Iseo per la Locanda al Lago di Montisola località Carzano. Ora una delle «assenze», di questa edizione, l’altra la vedremo al termine del post, quella, dopo tanto tempo, dell’Osteria della Villetta a Palazzolo sull’Oglio tra le chiocciole 2023, sarebbe interessante, non tanto per il singolo locale o per esprimere accordo, disaccordo, non è certo mio compito o intenzione, ma per capire il cambiare dei giudizi, conoscerne le ragioni, specie se è l’accoglienza ad essere riportato come principale parametro di merito. Due anche i locali a Serle, Castello nell’omonima località e L’Aquila Solitaria in località Cariadeghe.Ultimo trio con Clementina a Sirmione, La Miniera a Tignale e Lamarta a Treviso Bresciano.

Vi avevo preannunciato due «assenze», ma la seconda? Quella, ahimè, del capoluogo, scomparsa l’ultima segnalazione con il 2022, era il Bianchi, Brescia rimane orfana di Osterie, proprio a ridosso di quel 2023 che la vede con Bergamo, peraltro un unico locale segnalato, capitale della cultura 2023. E il cibo, i prodotti, le ricette sono assolutamente cultura, identità, attrattività. Non è compito di questo post analizzarne le ragioni, al limite ci si può chiedere se effettivamente non esiste alcunché di valido nel panorama cittadino, la mia personale opinione è che qualcosa c’è, qualcosa di già attivo e probabilmente qualcosa che ancora sta crescendo. Penso che stia anche in noi, inteso come società civile, creare gli stimoli, le motivazioni perché questa tipologia di ristorazione possa attirare giovani cuochi, giovani addetti in sala, dare vita a spazi esistenti ma non utilizzati, essere uno dei biglietti da visita di un territorio… Ma fate sentire la vostra voce, vi aspetto in questo spazio.

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